E’ morto a 82 anni l’ex direttore de La Stampa Giorgio Fattori, per il quotidiano di via Marenco lo ha ricordato Alberto Papuzzi, presidente dell’Associazione Stampa Subalpina
Quando nel 1984 tornai alla Stampa, dopo un’esperienza nella casa editrice di Giulio Einaudi, Giorgio Fattori, ricevendomi nel suo studio di direttore, mi disse di non potermi offrire al momento una posizione più alta di quella di redattore al desk, ma mi suggerì di non avere arrière pensée. In quella preoccupazione si specchiava la sua personalità di gentiluomo. E questo mi sembra nel ricordo il suo tratto originale: alto, elegante, trasmetteva un’idea di sicurezza e di forbitezza, accompagnate da un certo distacco e anche da un sostanziale disincanto, per aver frequentato in lungo e in largo il mondo del giornalismo. Per questa sua finezza di modi che, accompagnata da un’assoluta fermezza nelle decisioni, poteva apparire un segno di freddezza, Montanelli gli aveva appiccicato il soprannome di “Findus”, mentre i due giornalisti della sua generazione con i quali aveva forse più amicizia, Enzo Biagi e Lamberto Sechi, lo chiamavano “Robespierre”.
In realtà, sul piano giornalistico, il titolo che avrebbe meritato è quello di fenomeno. La sua è stata una carriera esplosiva, come poche se ne sono registrate nella stampa italiana. Nato nel 1925, il suo ingresso nel giornalismo è nel ’42, a poco più di 17 anni, come cronista della Gazzetta dello Sport. […]
E’ inviato speciale della Stampa dal ’66. Ed è subito un caso: infatti è il primo giornalista italiano a mettere piede nella Cina di Mao, per raccontare le contraddizioni della rivoluzione culturale. E’ un viaggio da cui tira fuori un libro, Abe della Cina. I suoi ultimi servizi sono le corrispondenze dalla guerra vietnamita. […]
Fattori prende in mano il giornale il 6 novembre ’78 e lo lascia il 10 febbraio ’86. Lo rivolta come un guanto, inventa inserti e supplementi, tiene in pugno la redazione, riporta in crescita la diffusione, sul piano politico rimane fedele – ma con britannico distacco – alla tradizione antifascista, laica e democratica. Quando se ne va i conti sono tornati a posto. Missione compiuta. E’ l’ultima impresa di quello che è stato forse l’ultimo direttore monarca, non per investitura divina ma per cultura giornalistica. Poi diventa presidente di Rcs, ma se ne va, fedele a se stesso, quando lo stato del gruppo non lo convince più.
Alberto Papuzzi
La Stampa – domenica 23 settembre 2007