"ESSERE GIORNALISTI OGGI"
Il significato, i modi e le sfide della professione
Convegno dell’Associazione Stampa Subalpina in occasione dei 100 anni della FNSI
Torino, 5 giugno 2008 - Palazzo Ceriana Mayneri
Cronistoria attraverso una sintesi degli interventi
Alberto Papuzzi, presidente dell’Associazione Stampa Subalpina
È importante sottolineare il tema di quest’incontro, perché già il titolo – “Essere giornalisti oggi. Il significato, i modi e le sfide della professione” – fa capire che ci troviamo alle prese con un terreno di lavoro molto più ampio di quello di natura prettamente sindacale. Se è vero, infatti, che il sindacato conduce battaglie per difendere la condizione del giornalista, è altrettanto vero che tale condizione non riguarda soltanto aspetti contrattuali, ma anche la coscienza professionale del giornalista. Quindi, interrogarsi sui nuovi problemi della professione ha un significato preciso anche dal punto di vista sindacale.
Ricordo che quando ero nel Comitato di redazione del Gazzettino di Venezia la Fnsi stava portando avanti battaglie per l’orario di lavoro e per la settimana corta. Oggi la posta in palio è ancora più delicata, perché c‘è in gioco il senso stesso del giornalismo.
Sergio Miravalle, presidente dell’ordine dei Giornalisti del Piemonte
Il sindacato festeggia 100 anni di storia. L’Ordine, nato nel 1963, è più giovane ma necessita anch’esso di rinnovamento. Il suo ruolo è quello di far rispettare regole etiche e deontologiche, mentre compito del sindacato è battersi in difesa delle posizioni più deboli, ed è sotto questo aspetto che la sua attività si ricollega a quella dell’Ordine. La prima necessità è quella di superare una certa autoreferenzialità, e chiedere che le regole vengano rispettate.
Proprio in questi giorni stiamo inviando l’Albo ai quasi settemila giornalisti iscritti all’Ordine del Piemonte. Questo libro, che forse per l’ultima volta arriverà in forma cartacea, contiene anche una lettera aperta nella quale si chiede ai colleghi di esprimersi sulle problematiche della nostra professione e sull’importanza stessa dell’Ordine. Noi vogliamo che la categoria dibatta su questo e altri temi, affinché il nostro mestiere arrivi ad essere sempre più rispettato.
Paolo Padoin, Prefetto di Torino
Nella mia carriera ho sempre avuto la responsabilità dei rapporti con la stampa. Sicurezza e protezione civile sono due temi per cui i rapporti con la stampa e, attraverso essa, con i cittadini, sono fondamentali, e ciò tanto più in presenza di eventi straordinari. In occasione dell’alluvione verificatasi in Piemonte nei giorni scorsi, ad esempio, le comunicazioni hanno funzionato in maniera esemplare, e ciò ha permesso che si ponessero le basi per la riduzione del rischio nelle zone più delicate. In quest’ottica appare evidente quanto sia importante per le istituzioni curare sempre meglio i rapporti con i mezzi di comunicazione.
Spesso si sente dire che i media contribuiscono ad ingigantire la realtà. Personalmente ritengo che i mezzi di informazione siano essenziali, ma che talvolta particolari messaggi, diffusi nella maniera sbagliata, possano finire per diventare controproducenti. Ricordo, ad esempio, quanto accaduto in un piccolo paese del padovano, dove il quotidiano locale diede la notizia – non confermata dalle forze dell’ordine - di un assalto in villa perpetrato ad opera di alcuni cittadini extracomunitari. Il tamtam mediatico fece sì che in breve la storia fosse ripresa dalle televisioni e dai giornali nazionali, salvo poi rivelarsi priva di fondamenti quando si appurò che si trattava di un caso di maltrattamenti in famiglia. Purtroppo, però, pure in presenza di tutte le smentite del caso, quando si diffonde un certo allarmismo è poi estremamente difficile modificare la percezione dell’opinione pubblica.
Ma c’è un altro aspetto altrettanto importante. Prima di venire a Torino ho avuto occasione di incontrare una cinquantina i partecipanti al Master di Giornalismo di Padova e di fare con loro una chiacchierata sul tema: “Terrorismo, giornalismo e politica”. Ebbene, se un pregio ha avuto questo confronto, è stato quello di far capire a quei ragazzi il punto di vista delle istituzioni. Il dialogo e la collaborazione tra media e istituzioni sono fondamentali. Prima della Fiera del Libro del 2008, ho fatto forse più fatica a recuperare le fesserie che erano state scritte che non a organizzare l’apparato della sicurezza. E tutto ciò nonostante Torino sia, dal punto di vista della stampa, la città nella quale ho trovato l’informazione più ponderata rispetto alle altre in cui ho lavorato.
Da parte mia non posso che garantire l’impegno della Prefettura ad un colloquio sempre franco e preciso con i media.
Valter Giuliano, assessore alla Cultura della Provincia di Torino
Questo centenario non cade in momento particolarmente propizio per la professione: non ricordo, infatti, un contratto così a lungo dibattuto. Nello stile dell’Associazione Stampa Subalpina, questa celebrazione è stata interpretata anche come un’occasione per riflettere e porsi domande sulla professione. Una professione in cui permangono ampie sacche di precariato; soprattutto in provincia, dove si fa più fatica ad essere editori, e talvolta si tende a sopperire alle difficoltà economiche con atteggiamenti poco rispettosi dei colleghi.
Io ritengo che l’articolo 21 della Costituzione vada difeso, ma in primo luogo a mezzo della professionalità, tanto più da quando si trova a competere con un’informazione on line che non è controllata da nessuno.
Un altro aspetto su cui penso sia importante ragionare è, poi, quello secondo cui oggi si pretende che siano gli organi di informazione a formare i giovani. Ciò è sicuramente frutto della perdita di punti di riferimento quali famiglia e scuola, ma il rischio è che i modelli assunti dai ragazzi siano sempre più quelli proposti da determinati mezzi di comunicazione – il gossip, l’apparire, lo spettacolo – e che così si sfoci definitivamente nella superficialità.
Dal mio punto di vista, l’informazione, così come la politica, deve mettersi al servizio dei cittadini e dell’opinione pubblica.
Vincenzo Scudiere, segretario regionale della Cgil
Intanto un plauso per la vostra attività, perché se continuate voi, continua la democrazia. Una prima considerazione: io ho l’impressione che oggi gli organi di stampa siano troppo spesso specchio di una società in cui prevale l’apparire. Ciò premesso, Torino ha un’esperienza molto positiva. Qui furono fondati il sindacato e due camere del lavoro, e sempre a Torino nacque anche la prima associazione degli industriali.
Ma importante è anche il rapporto che sussiste tra i nostri sindacati, tanto più se si pensa che il precariato insiste ancor più nella vostra professione che negli altri settori lavorativi. Oggi molti giovani sanno di scrivere o di filmare, ma non sanno se il materiale che hanno prodotto sarà mai utilizzato da chi glielo ha commissionato, e soprattutto se tale lavoro verrà loro pagato. In quest’ottica c’è ancora molto da fare, ma sono convinto che la nostra collaborazione potrà aiutare a risolvere questi problemi.
Alberto Papuzzi, presidente dell’Associazione Stampa Subalpina
Saluto la presenza in sala di Roberto Franchini, di Diego Novelli e del professor Carlo Marletti. Ma ringrazio anche chi - come Gino Apostolo e Vanni Giachino - pur non potendo essere fisicamente qui, ha inviato una lettera.
Lettera di Gino Apostolo
Caro Tropea,
come tu ben sai, faccio parte di quel gruppo di entusiasti che nel 1946 fecero risorgere il sindacato dei Giornalisti Piemontesi. Gli anni sono inesorabilmente passati e ormai sono vicino ai novanta.
Non potrò essere presente – e me ne dispiace molto – alla celebrazione del centenario, ma se puoi farlo, saluta a nome mio i colleghi vecchi e nuovi, ai quali auguro di ritrovare il coraggio e la voglia che noi avevamo allora.
Un cordiale saluto a tutti.
Gino Apostolo
Mail di Vanni Giachino, presidente onorario degli editori Fipeg
Caro Direttore, stimato Segretario,
ho ricevuto l’invito e vi ringrazio. Ma non potrò essere presente, il giovedì sera è momento di chiusure. Vi prego di salutare per me il segretario Franco Siddi.
Mi dispiace. Cordiali saluti.
Vanni Giachino
Vera Schiavazzi, coordinatrice dei Laboratori del Master di Giornalismo di Torino
Il Master di Giornalismo di Torino è una scuola giovane, nata appena 4 anni fa. È una delle 21 riconosciute, in ambito nazionale, dall’Ordine, e in quanto tale sostituisce il percorso di praticantato. Fra pochi giorni pubblicheremo il terzo bando per selezionare i 20 studenti che parteciperanno al prossimo biennio: un numero ottimale, sia in chiave di formazione sia nell’ottica di una loro collocazione.
Nel video, che presentiamo oggi, abbiamo intervistato 11 colleghi, di cui solo 7 contrattualizzati, e 3 di questi pensionati. È chiaro che sulla base di un tale campione non pretendiamo di aver rappresentato l’intera professione. Ma questo lavoro ha consolidato in me la convinzione che i “giornalismi” sono effettivamente tanti.
Proiezione di un video a cura del Master di Giornalismo dell’Università di Torino
Con interviste a Anna Rosa Gallesio, Andrea Gatta (Cronaca Qui), Maura Fassio (Rai Tgr Piemonte), Niccolò Zancan (La Repubblica), Cynthia Sgarallino (La Stampa), Constantin Pletosu (fotoreporter freelance), Giovanni Giovannini, Mimmo Candito, Daniela Giacometti (Quartarete), Antonio Martelli (RealSports.it), Alberto Papuzzi.
Alessandra Comazzi, critico televisivo, dirigente della Subalpina e della Fnsi
I tempi richiedono l’impegno di tutti perché la professione è in una fase delicatissima. Nella mia carriera ho assistito a molti cambiamenti in ambito redazionale. Neppure internet, che è il più giovane dei mezzi di comunicazione, è più come una volta: si pensi, ad esempio, al fenomeno di YouTube. Secondo me, però – e il video appena proiettato me lo ha confermato - il giornalismo è uno soltanto: quello della passione, delle scuole di giornalismo, delle suole delle scarpe consumate. I giornalismi passano, il giornalismo resta. Parafrasando Lucio Dalla: “L’anno che sta arrivando tra un anno passerà, io mi sto preparando è questa la novità”. E nel nostro settore la novità deve essere, appunto, quella di farci trovare preparati alle nuove sfide che ci attendono.
Maurizio Laudi, magistrato, procuratore aggiunto di Torino
Da dirigente dell’Associazione Nazionale Magistrati, la prima considerazione che mi viene da esprimere è che tra magistrati e giornalisti vi sono delle assonanze. Anche voi, ad esempio, proprio come noi, dovreste avere sempre presente la missione di fornire la verità: noi attraverso le sentenze, voi per mezzo del vostro contributo informativo.
Ma un altro punto di convergenza per magistrati e giornalisti è l’importanza dell’autonomia e dell’indipendenza. Obiettivi che, però, senza le adeguate risorse economiche, rischiano di non poter essere raggiunti.
Relazione di Franco Tropea, segretario dell’Associazione Stampa Subalpina
(pubblicata integralmente, vedi in homepage)
Aldo Cazzullo, inviato speciale del Corriere della Sera
Sono arrivato a La Stampa 20 anni fa. Da Ezio Mauro ho imparato molto, sia sul giornalismo sia sul giornale in sé. Lui sosteneva che la stampa non dovesse essere “contro il palazzo”, ma dovesse restarne fuori. Ciò significa che il giornalismo non deve essere la prosecuzione della politica con altri mezzi. Tanto più che, a mio modo di vedere, è interesse stesso del Governo avere un’informazione critica, seppur non strumentalmente ma a ragion veduta.
Le prossime generazioni di giornalisti dovranno indirizzarsi sia verso l’alto, fornendo alla cosiddetta classe informata gli strumenti per seguire temi quali economia e politica estera; sia verso il basso, per agganciare il giornale alla vita delle persone comuni. Tutto ciò anche perché il rischio generato da internet è che si stia creando uno schema mentale secondo cui la verità sta in basso e la menzogna in alto; e in alto vengono posizionati sia la politica, sia i giornali e la televisione.
Da questo punto di vista io credo che i giornalisti piemontesi siano più attrezzati di quelli di altre regioni a svolgere bene questa professione, in primo luogo per una collocazione geografica che li aiuta a stare fuori dal palazzo. Fare il giornalista in Piemonte garantisce una maggiore libertà e indipendenza di pensiero.
Massimo Gramellini, vicedirettore de La Stampa
Oggi viene messo in discussione il nostro ruolo di mediatori, e ciò accade sia dall’alto sia dal basso. L’Italia è una nazione che in un secolo e mezzo di storia non ha mai avuto un’opinione pubblica: da noi cultura e potere hanno sempre dialogato tra loro.
Dal punto di vista degli organi di informazione, se chi vi lavora conduce una vita poco a contatto con il mondo esterno, è facile che alla lunga sia portato a pensare che i suoi interlocutori siano uffici stampa, vertici politici e delle forze dell’ordine, piuttosto che la gente comune.
In quest’ottica, la mia svolta professionale avvenne quando iniziai quasi per caso ad occuparmi della rubrica della posta del cuore. Una delle prime lettere che mi arrivarono, nel 1998, fu quella di una ragazza laureata, che raccontava di non avere i soldi per sposarsi dato che come unica occupazione aveva quella in un “centralino telefonico”. Aldilà del primo “straordinario” flash su un fenomeno – quello dei call center – che in pochi anni si sarebbe diffuso in maniera esponenziale, quella lettera era uno spaccato di vita comune. Invece i giornali tendono a mettere ancora troppo spesso al centro il potere. E questo perché continuiamo a fare il giornale avendo in mente soprattutto i pochi potenti che peraltro spesso non ci leggono nemmeno, se non nelle parti che li riguardano in prima persona. Peccato, però, che le cose che appassionano noi, poi non interessino tanto alla gente.
Secondo me, fra non molto, le notizie finiranno per darle internet e il telefonino.
Allora il futuro del giornale sarà o quello di essere un prodotto alto attraverso il quale gli esponenti della classe dirigente parleranno tra loro, o, al contrario, di cambiare ritmo, fornendo un’informazione più veloce e vicina alla gente.
La forza dei giornali dovrà essere la valorizzazione del loro marchio e delle istanze dei lettori comuni.
Aldo Cazzullo, inviato speciale del Corriere della Sera
Secondo me oggi abbiamo sfalsato l’equilibrio tra chi pensa il giornale e chi lo scrive. Un tempo il rapporto tra chi cercava e scriveva le notizia e chi invece faceva desk era di 1 a 2. Attualmente credo sia di 1 a 5, se non di più. Ciò, ovviamente, sbilancia il giornale e lo allontana dal lettore.
Massimo Gramellini, vicedirettore de La Stampa
Ma un altro problema è anche quello di una vita troppo frenetica. Per un giornale c’è la difficoltà oggettiva ad adeguarsi a cambiamenti ed evoluzioni dei fatti sempre più repentine. Senza contare che la velocità non si sposa con l’approfondimento.
Franco Siddi, segretario generale della Federazione Nazionale Stampa Italiana
I cambiamenti ci sono, ma dobbiamo essere in grado di governarli. La rete ha raggiunto oggi uno dei suoi picchi di esplosività, ma dobbiamo ricordarci che essa è, appunto, una rete, non un medium: tanti vi possono chiacchierare, ma pochi possono garantire anche genuinità e contestualizzazione delle tematiche trattate.
La trasformazione in atto ci richiede modi molteplici di essere giornalisti, e capacità diverse di realizzare nuove convivenze di giornalisti e giornalismi nell’ambito di un unico piano regolatore, che deve essere quello del contratto.
Servirà sempre di più un giornalista in grado di dare validità alle migliaia di notizie che gli arriveranno ogni giorno dai mezzi e dalle fonti più disparate.
Purtroppo, però, nel nostro settore spesso non c’è questa capacità di governare i cambiamenti. Occorre aprirsi. Da parte nostra siamo finalmente riusciti ad aprire la vertenza dopo tre anni di fuga da parte degli editori. Ora la sfida si giocherà sul campo della multimedialità. Il nuovo giornalista dovrà avere competenze in tutti i media, e attraverso queste proporsi.
Mettere insieme le esigenze di base e vertici non è semplice, anche perché chi oggi ha il contratto non vuole cambiamenti. Dall’altra parte il problema è che i giornali rendono meno: le vendite sono in calo, e spesso si sopperisce solo con gli introiti pubblicitari. Ma complessivamente, il business dell’informazione è in perdita, il che significa che ci sono meno risorse per fare il contratto, tanto più che oggi gli editori ragionano solamente in termini di costi.
Compito del giornalista sarà quello di essere sempre più un certificatore di qualità: la strada da imboccare è quella della conservazione del marchio attraverso multimedialità e innovazione.
Nelle prossime settimane approfondiremo queste tematiche con gli editori. Ma la multimedialità, pur salvaguardando la professionalità del giornalista, andrà necessariamente introdotta.
Al tempo stesso, però, ci batteremo affinché chi, come il giornalista, svolge una funzione di garanzia, abbia l’autonomia necessaria per farlo.