Il giornalista ha "diritto alla continuazione del suo rapporto sino al compimento dei 65 anni di età, pure se abbia raggiunto la massima anzianità contributiva prevista dal proprio ordinamento di categoria". Lo rileva la Cassazione (sezione Lavoro, sentenza 28529) sottolinenando che il diritto vale a "condizione che il giornalista abbia rispettato il termine decadenziale dei sei mesi per comunicare (all'ente previdenziale e al datore di lavoro) la propria volontà di continuare il rapporto". Applicando questo principio, gli "ermellini" hanno respinto il ricorso della Rai contro il licenziamento intimato ad Ermanno Corsi, giornalista presso la quale aveva lavorato in video come conduttore del tg con la qualifica di capo redattore, il 30 settembre del 1999 sulla base del "raggiungimento del sessantesimo anno di età" e alla luce del "compimento di una anzianità contributiva di trecentosessanta mensilità". Sia in primo che in secondo grado, il Tribunale e la Corte d'appello di Napoli (novembre 2005) avevano dato ragione al giornalista, intimando alla Rai di reintegrare Corsi nel suo posto di lavoro e condannandola a risarcirgli i danni. Inutile il ricorso della Rai in Cassazione. La Suprema Corte ha respinto il ricorso e ha sottolineato che "per la diversa natura delle fonti regolatrici del rapporto lavorativo dei giornalisti, la normativa pattizia va considerata come disciplina volta ad introdurre una forma di cosidetta pensione anticipata, che non esclude certo la possibilità, per il giornalista stesso, di avvalersi della pensione di vecchiaia e, come gli altri lavoratori, del consequenziale diritto alla continuazione del suo rapporto sino al compimento dei 65 anni di età, pur se abbia raggiunto la massima anzianità contributiva prevista dal proprio ordinamento di categoria". Per effetto del rigetto del ricorso, la Rai dovrà sborsare 2.500 euro per onorari difensivi.
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