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28/10/2010

1 - Dove passa il confine che delimita l'informazione?

Risposte di Giorgio Ballario, Silvano Esposito, Franco Garnero, Luciano Lombardi, Giovanni Ruotolo

L'invito al confronto lanciato dai presidenti Papuzzi e Sinigaglia è stato raccolto in poche ore da un centinaio di colleghi. Iniziamo a pubblicare "a puntate" sul nostro sito i contributi pervenutici.

 

 

 

LA DOMANDA
DOVE PASSA IL CONFINE CHE DELIMITA L'INFORMAZIONE?

 

Cara/o collega,

 

una serie di casi - fra cui le rivelazioni sulla scomparsa di Sarah Scazzi in diretta a Chi l'ha visto?, l'ipotesi di violenza privata ai danni di Emma Marcegaglia, le inchieste su un appartamento di Fini a Montecarlo, le dieci domande di Repubblica a Berlusconi - portano in primo piano la possibilità che l'informazione interagisca con la realtà condizionandola. Il giornalismo dovrebbe evitare questo intreccio? Dove passa il confine che delimita l'informazione?

 

Ci interessa la tua opinione. Se  vuoi inviarci il tuo contributo (all' indirizzo mail direzione@stampasubalpina.it, in poche righe, entro il 30 ottobre) ci sarà utile alla riflessione, riservandoci di pubblicarlo sui siti o sul giornale di Ordine e Subalpina.

 

Grazie. E un cordiale saluto.

 

Alberto Sinigaglia, presidente Ordine Giornalisti Piemonte

 

Alberto Papuzzi, presidente Associazione Stampa Subalpina

 

 

 

 

 

LE PRIME RISPOSTE:

 

Caro Alberto,

 

riflettevo su questo tema alcuni giorni fa e ti dirò che mi ritrovo d'accordo su quanto ha scritto di recente il giornalista del Corriere della Sera Carlo Vulpio: "Non ha alcuna importanza chi pubblica una certa notizia, quando la pubblica e per quale altro fine (anche biasimevole) la pubblichi. Ciò che conta è che la notizia (la cui pubblicazione rispetti le norme vigenti, ovvio) sia vera".

 

Questo è ancor più giusto in un'epoca in cui, a seconda dei giornali che le pubblicano, certe notizie diventano "fulgide inchieste giornalistiche" o "squallidi dossier". Aggiungo che a mio parere né il Legislatore né la magistratura dovrebbero poter decidere quali sono "notizie" e quali "dossier" e se lo fanno è anche e soprattutto perché la nostra categoria glielo consente.

 

Tutto ciò fermo restando i requisiti di cui sopra: veridicità della notizia e pubblicazione che rispetta le norme vigenti.

 

Un cordiale saluto

 

Giorgio Ballario

 

In una società come quella italiana, dilaniata da un bipolarismo assoluto per cui il confronto tra le tifoserie ha invaso ogni aspetto della convivenza civile (o presunta tale), sarebbe importante che i giornalisti esercitassero il loro ruolo con responsabilità, vera indipendenza e forte eticità. Invece assistiamo a un panorama in cui chi fa il nostro mestiere più che porsi come osservatore critico per stimolare una vera coscienza civile, si iscrive al truce dibattito pubblico come militante e cerca di piegare al suo scopo persino la verità dei fatti, che dovrebbe essere alla base del buon giornalismo. Personalmente sogno una professione che possa autoregolarsi e contribuire alla crescita civile della società, magari invocando, qualche volta, anche il diritto a NON pubblicare una notizia o a non esagerare nel compiacimento efferato o nella ricerca di un successo più commerciale che professionale.

 

Silvano Esposito, direttore de "il Biellese"

 

Mi sembra inevitabile che l'informazione interagisca con la realtà e tenti di condizionarla. La quasi totale mancanza di editori puri in Italia fa sì che l'informazione sia di solito in mano a gruppi industriali o finanziari dai precisi interessi che cercano di perseguire anche attraverso il controllo dell'informazione. Anche in molti altri Paesi, tuttavia, dove esiste un numero di lettori più elevato e diversificato, la situazione non è poi molto differente.

 

Il giornalismo, certo, dovrebbe evitare questo intreccio e si deve fare quanto possibile per contrastarlo. Ma, come sappiamo, esistono in ogni redazione delle precise strutture gerarchiche alle quali si deve, giustamente, sottostare, dato che sono previste delle precise forme di tutela, come la possibilità di non firmare un pezzo o di ricorrere alla cosiddetta clausola di coscienza.

 

Una soluzione definitiva non credo esista o sia facilmente praticabile. Ritengo, piuttosto, che sia un problema da tenere sempre presente, in modo da mantenerlo a dimensioni fisiologiche e accettabili.

 

Franco Garnero

 

Non si vive di solo Report o Annozero, ma meno male che in Rai ci sono anche Gabanelli e Santoro. Quanto al Tg uno di Minzolini, temo di essere un valutatore parziale in quanto, dopo averci inizialmente provato, non riesco più ad obbligarmi al supplizio di guardarlo. E come si fa ad avere, ad esprimere, un giudizio valido su qualcosa che non si vede?

 

Il Corrierone di Miieli ha tante pagine, ma mi accorgo di leggerlo troppo velocemente. Mi sono chiesto perché e mi sono risposto ancora dubbioso: forse perché Paolino Miieli scrive troppo poco, solo quando proprio, tirato per i capelli, non può farne a meno. E' vero che qualche inchiesta il Corrierone la fa e, anche se contenuta in un recipiente vellutato, a volte colpisce al cuore il problema. E tuttavia... forza  Miieli, fai di più.

 

Meno male che fra i suoi collaboratoti ci sono anche uno storico e qualche economista in gamba e non solo Ostellino e company. La Stampa è forse completa, ma un po’ troppo timida sulle pagine locali dove abbondano notizie e notiziole, ma manca la presa di posizione. Possibile che per trovare uno straccio di commento occorra leggere il calcio commentato da Renato Ambiel?

 

Il confine, quindi, da voi ricercato lo riassumerei in due punti:

 

1.    oggettivamente, la pluralità dell'informazione, che significa proprietà editoriali diverse, fa sì che l'utente che trova eccessivi tanto Santoro quanto Minzolini, tanto per citare due modalità diverse di giornalismo, possa, seguendoli entrambi, ed altri giornalisti ancora, trovare lui utente un confine equilibrato di notizie, informazioni e commenti;

 

2.    la professionalità del giornalista è la seconda garanzia, in questo caso soggettiva, che possa portare articolo per articolo, inchiesta per inchiesta, al  ritrovamento del giusto confine da voi ricercato.

 

Saluti,

 

Luciano Lombardi

 

Il confine non può che essere tracciato dalle regole deontologiche e dalla consapevolezza che chi fa informazione, in tutte le sue forme, è al servizio dei cittadini. Nel suo saggio "Sul giornalismo", Joseph Pulitzer scrive che "un giornalista privo di morale è privo di tutto". La regola d'oro dell'Associazione dei giornalisti professionisti americani recita: "Cercare la verità e riferirla nel modo più completo possibile, agire in modo indipendente e minimizzare i danni".  I giornalisti dovrebbero raccontare quello che succede, fornire anche delle chiavi di analisi dei fatti, ma mai agire come soggetti politici magari per conto terzi. Se il giornalismo rinuncia a questo ruolo perde sostanzialmente la sua ragione di essere e scade nella propaganda. Anche in questo senso va visto il caso del delitto Scazzi e la trasmissione Chi l'ha visto. Ci sono dei limiti come il rispetto delle persone di fronte a cui il giornalismo dovrebbe fermarsi, perché ci sono dei limiti anche per il giornalismo: solo se sapremo riconoscerli e rispettarli saremo più credibili quanto rivendichiamo il nostro diritto/dovere di informare i cittadini.

 

Giovanni Ruotolo

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