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28/10/2010

2 - Dove passa il confine che delimita l'informazione?

Risposte di Enrico Villa, Daniela Giacometti, Umberto Rossi, Roberto Reale

L'invito al confronto lanciato dai presidenti Papuzzi e Sinigaglia è stato raccolto in poche ore da un centinaio di colleghi. Pubblichiamo altre risposte.

Per me, con 50 anni di professione di cui oltre 20 quale cronista di “nera”, continua a valere prima di tutto l’articolo 21 della Costituzione Repubblicana. Però, sempre secondo la mia opinione, la sola sacrosanta libertà di informazione finisce di essere riduttiva e di fornire alibi al potere: a qualsiasi potere. Come ancora nel suo ultimo volume “Diritto dell’informazione e della comunicazione” argomenta Paolo Caretti docente di Diritto Costituzionale all’Università di Firenze (il Mulino, dicembre 2009) sul diritto/dovere costituzionale alla informazione dovrebbe sempre prevalere comunque il diritto all’espressione. Proprio Caretti, muovendo dal Settecento e esaminando l’involuzione/evoluzione strumento del potere, esamina le “cadute” e le “riprese” giuridiche fino ai giorni nostri dove sempre più impera la comunicazione radiofonica, televisiva e di internet. Io penso che tutti i praticanti giornalisti dovrebbero essere invitati a leggere anche il libro di Paolo Caretti soffermandosi sulle sue analisi in relazione all’esercizio quotidiano del giornalismo.
Proprio Caretti insiste sull’equilibrio da conseguire, non perdendo mai di vista l’articolo 21  della Carta, al di là di ogni anche attualmente pelosa interpretazione di parte, voluta fermamente dai nostri Padri Costituenti. Il fascismo, incominciando dal 1920, in modo strisciante ma incontenibile anche per le distrazioni e la superficialità dell’opinione pubblica del tempo, aveva imposto socialmente e giuridicamente la sua logica illiberale. E, personalmente, ho il sospetto sempre più forte che i casi di questi mesi e di questi giorni (Biagi, Santoro, Boffo, Fini, Marcegaglia e via elencando) siano i figli culturali del periodo fascista. Fortunatamente gli oltre 60 anni di Repubblica e le norme che si sono susseguite, Ordine professionale del 1963 compreso, hanno impedito la degenerazione completa come negli anni Venti e Trenta del Novecento, introducendo con tanta fatica un simulacro di “Balance of power”. A giudicare dalla stampa europea e internazionale quanto è da noi lamentato non si verifica nel nostro continente e negli Usa, facendo in ogni caso più di una eccezione per Francia e Germania. Queste stesse eccezioni valgono, purtroppo e soprattutto, per l’informazione economica nonché per il gossip politico di “alto bordo”. E sempre a mio giudizio, l’informazione del nostro Paese starebbe sempre più diventando un “campione” di questo esercizio distorcente della realtà e del pluralismo nel suo significato più autentico.
Alcune breveosservazioni sulla smodata pressione mediatica riguardante gli individui e le popolazioni in caso di gravi fatti di cronaca, nonché sull’utilizzo dei minori che, pure, dovrebbe molto interessare la professione giornalistica (Diritti dei bambini, Onu, 1989; Carta di Treviso, 1990; Vademecum per la Carta di Treviso, 1995). Secondo me, la collega conduttrice della trasmissione di “Chi l’ha visto” dedicata a Sarah Scazzi ha continuato ad esercitare legittimamente il diritto di cronaca, pronta ad attenuare con sensibilità una circostanza imprevista e imprevedibile come le vicende successive  hanno provato. Sempre a mio modestissimo parere, ben altra cosa è la sistematica “invasione” radiofonica e televisiva in casi eclatanti di cronaca nera o giudiziaria. Ogni volta che decine di stazioni televisive invadono una località con le loro strumentazioni, forse si integra più o meno inconsapevolmente dai colleghi giornalisti il reato di violenza privata (art 610 c.p) e di stalking (art. 612 bis c.p.) sia ai danni dei singoli che della popolazione più esposta. Un’altra riflessione, altrettanto “imperativa”, va fatta per la presunta sistematica violazione della Carta di Treviso. Passi per “Se ti lascio una canzone” (Rai Napoli, Antonella Clerici), e per “Io canto” (Mediaset, Gerry Scotti) anche se molti esperti di psicologia e di pedagogia sono di parere nettamente contrario. Non passi, viceversa, per la violazione della Carta di Treviso e delle  integrazioni successive dove la personalità dei minorenni è calpestata, talvolta con il falso alibi della notorietà e del’informazione. E non passi per “C’è posta per te” (Maria De Filippi, Mediaset) dove, in maniera falsamente caramellosa, i minorenni sono impiegati per spettacolarizzare ancor più il programma basato su conflitti e casi umani. La risposta alle critiche è: l’autorizzazione è dei genitori. Tuttavia – e lo ricordo a me stesso, ai responsabili delle redazioni e delle reti radiofoniche e televisive – i genitori non sono “i padroni” dei loro bambini, che devono sempre essere tutelati, come in diversi suoi punti evidenzia chiaramente la Carta di Treviso. Bisognerebbe allora affermare che il doveroso equilibrio in questi casi (ma più in generale nella cronaca radiofonica e televisiva corrente) è di stretta pertinenza anche dei colleghi giornalisti e dei responsabili di rete, frequentemente giornalisti. In realtà, non interrompendo questi circoli viziosi, i “padroni veri” sono l’audience e la pubblicità alla quale l’Ordine dei Giornalisti non deve mai sottostare e deve intervenire ogni volta che sia necessario. Alla fine le vittime sono i minorenni.
Augurandomi, con le riflessioni auspicate, il ristabilimento di un etica e di una moralità laica (non confessionale) potrei scomodare Socrate, i Dialoghi di Platone, Aristotele, Sant’Agostino, Immanuel Kant, Hegel, e i filosofi a noi più vicini nel tempo. Non lo faccio per non annoiare. In ogni caso ricordo a me stesso, che continuo a credere in un giornalismo pulito e davvero costruttivo, un assioma  kantiano: “Agisci solo secondo la massima per la quale puoi e allo stesso tempo vuoi che questa diventi una legge universale”. Spero che anche in Italia chi fa del giornalismo la sua ragione di vita si identifichi in questa stessa massima.
Enrico Villa



Mi permetto il lusso di rispondervi con una domanda, lo so che non si fa...  l'informazione o la tv manipola la realtà? Dalle ultime notizie che leggo sui giornali Sabrina la cugina di Sarah Scazzi viveva  con il "naso attaccato alla TV”. Noi che lavoriamo in tv, tutti i giorni, siamo in grado di fornire adeguati strumenti culturali di DIFESA da questo eccezionale elettrodomestico?
Buona l'idea di aprire una bakeka...
saluti 
Daniela Giacometti


Il mio modesto contributo sull'argomento riguarda esclusivamente l'informazione (seria o seriosa) attraverso la televisione che non riesco più a sopportare. "Verba volant" con troppo facilità, sufficienza, vanità e arroganza per cui preferisco la carta stampata col suo profumo d'inchiostro e di sudore di tutti coloro che vi lavorano.
Grazie per l'attenzione e cordialità,
Umberto Rossi (classe 1933)


Da sempre l'informazione interagisce con la realtà e la condiziona, visto che i suoi fini sono essenzialmente due: fornire al lettore la conoscenza dei fatti e agevolare il formarsi della pubblica opinione. Nella cronaca nera come l'omicidio di Sarah, credo che il limite sia soltanto l'etica del rigore professionale, cioè non solleticare inutile morbosità, rispettare il dolore e la privacy dei soggetti coinvolti, illustrare e commentare gli avvenimenti senza anticipare processi o condanne. Nel caso della notizia in diretta alla madre di Sarah mi sembra che l'errore più grave non l'abbiano commesso la giornalista e la tv ma gli inquirenti, che dovevano contattare la donna e informarla personalmente, magari alla presenza di uno psicologo, prima dell'uscita delle agenzie di stampa. Sull'imbarbarimento dell'informazione politica ci sarebbe invece molto da dire, specie sui casi citati (Montecarlo, D'Addario, Marcegaglia). In estrema sintesi: ogni inchiesta giornalistica in questo campo è lecita se non viola la legge e fornisce una corretta informazione. Il vero, unico limite, dovrebbe essere l'incompletezza. Se dici il falso posso difendermi, se manipoli, occulti o taci non ho tutele. Purtroppo nel nostro Paese non esistono editori puri. Tutta (dico tutta) l'informazione scritta e quella tv, grazie anche alla lottizzazione Rai, è schierata su fronti opposti e usa (o insabbia) documenti, indagini giudiziarie e intercettazioni soltanto per scopi di parte. La completezza è una chimera, la strumentalizzazione consuetudine. L'unico modo per "tarare" le informazioni e formarsi un'opinione corretta sarebbe leggere molti quotidiani, da Repubblica al Giornale, e cercare talk show di segno opposto in tv, da Santoro a Paragone. Ma anche il lettore, nell'Italia dei campanili, è schierato in partenza, e acquista solo il giornale che soddisfa la sua pancia. Così il fan del Giornale saprà poco o nulla delle escort di Berlusconi e quello di Repubblica penserà che Montecarlo non è malcostume politico ma semplice dossieraggio anti-Fini; mentre il caso Marcegaglia-Arpisella potrà continuare ad essere titolato - alternativamente - su presunte violenze private di cui Confindustria è stata vittima oppure artefice. E' la pluralità dell'informazione all'italiana, bellezza! Lasciatemi immaginare un sindacato che pretenda più professionalità sulla carta stampata e contradditori veri in tv, sanzionando quei colleghi faziosi che violentano gli ospiti di parte avversa e l'intelligenza degli spettatori. Utopia? Già, dimenticavo: anche il sindacato fa politica e vive diviso, assolvendo gli amici e condannando i nemici. Amen.
Roberto Reale
 

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