Anche per i giornalisti non sarà un Natale facile. La nostra -mi rendo conto- è una categoria spesso considerata nell’immaginario collettivo come garantita e tutelata e anche per questo le grida d’allarme che arrivano dal settore vengono talvolta sottovalutate.
In realtà, tra chi oggi vive di giornalismo, privilegiati e garantiti ve ne sono ben pochi, se è vero che, non più tardi di due settimane fa, raccogliendo le sollecitazioni delle associazioni di categoria, il Parlamento è stato costretto ad approvare una legge che afferma un principio solo a prima vista scontato. «Ai titolari di un rapporto di lavoro non subordinato –è scritto nella legge- deve essere assicurato un trattamento economico proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto». Se è stato necessario inserire un principio tanto lapalissiano nell’ordinamento dello Stato, è perché migliaia di giornalisti vengono pagati pochi spiccioli per articoli che richiedono ore di lavoro. Non solo. Si tratta di lavoratori che si trovano a contatto con il bene più prezioso e fragile di una democrazia, l’informazione appunto, ma sono costretti a operare senza alcun tipo di tutela.
La legge è un piccolo passo in avanti i cui effetti rischiano però di essere vanificati dalla crisi generale del settore editoriale.
La contrazione dei consumi ha fatto sì che l’anno si chiuda con una perdita a doppia cifra del mercato pubblicitario (al momento siamo intorno al 13 per cento) e osservato il quadro economico globale, nulla autorizza a pensare che il 2013 sia migliore.
A questa crisi se ne affianca un’altra che investe il mondo della stampa a livello planetario determinata dalla transizione al digitale. I giornali di carta perdono copie a ritmo costante e ogni tentativo per fermare la discesa sembra essere vano. Al tempo stesso cresce il numero di cittadini che si informano attraverso la rete ma i ricavi che ne derivano rappresentano al momento il 10 per cento delle risorse che vengono perse dalla carta. Nessuno, nemmeno i più raffinati analisti d’oltre Oceano, è riuscito al momento a disegnare un modello di business che consenta alle aziende editoriali di stare in piedi nel medio-lungo periodo.
Anche questo è naturalmente un problema che non riguarda soltanto i giornalisti, ma la qualità stessa della nostra democrazia.
In un quadro tanto preoccupante, ci sono poi situazioni di emergenza assoluta, immediata. Mi riferisco ad esempio all’emittenza radiotelevisiva privata, dove la crisi del mercato pubblicitario, il passaggio al digitale terrestre e vent’anni di leggi di scritte per rafforzare il duopolio, hanno creato le condizioni per un tempesta perfetta. Così, anche nella nostra Regione, centinaia di giornalisti e tecnici del settore trascorreranno il Natale attendendo mensilità arretrate e, quel che di più grave, non sapendo fino a quando la loro azienda sarà in grado di assicurare il lavoro.
Bene ha fatto dunque, proprio ieri, il segretario della Federazione della Stampa Franco Siddi a chiedere la convocazione immediata di un tavolo nazionale di crisi per l’editoria. Un tavolo nel quale ciascuno dovrò fare la propria parte.
Alla politica il sindacato dei giornalisti chiede leggi capaci di rompere i monopoli mettendo le aziende in condizione di competere ad armi pari e chiede soprattutto risorse legate a progetti di innovazione che pongano fine alla brutta abitudine dei “finanziamenti a pioggia”.
Agli editori chiediamo invece che i sacrifici che vengono e verranno sopportati dai colleghi, anche nella nostra Regione, siano legati a piani di rilancio veri delle aziende.
Da parte nostra c’è il massimo della disponibilità e del realismo nell’affrontare il momento delicato, consapevoli come siamo che la crisi si vince insieme o non si vince.
Stefano Tallia
Segretario Associazione Stampa Subalpina
(Intervento pubblicato da Il Nord Ovest del 22/12/2012)