Con l’approvazione della legge sull’equo compenso, per la prima volta si è fissato per legge un concetto straordinariamente innovativo nel diritto del lavoro italiano, ossia che i diritti stabiliti dall’articolo 36 della Costituzione, sull’adeguatezza della retribuzione alla quantità e alla qualità del lavoro svolto e in ogni caso “sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”, si applicano non solo per il lavoro dipendente, ma anche per il lavoro autonomo. Anche in questo caso, è stato il sindacato unitario dei giornalisti ad aprire una strada che, potenzialmente può essere estesa, come principio, a tutti i lavoratori atipici e autonomi.
La strada, però, non è ancora conclusa, perché dopo l’approvazione della legge, lo scorso 18 gennaio, adesso c’è da nominare la commissione che deve materialmente stabilire l’equo compenso per il lavoro giornalistico in coerenza con il contratto nazionale di lavoro. La scadenza fissata dalla legge è di 30 giorni, il che vuol dire che la Commissione dovrebbe essere formata entro il 16 febbraio e composta dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all'informazione e altri sei membri in rappresentanza del Ministero del Lavoro e di quello dello Sviluppo, del Consiglio dell'Ordine, dell'Inpgi, delle organizzazioni sindacali giornalistiche e di quelle dei datori di lavoro. La Commissione ha due mesi di tempo per mettere nero su bianco il regolamento sull'equo compenso e, cosa più importante, una sorta di “white list”, ossia l’elenco delle testate che rispettano le tariffe stabilite. Chi resterà fuori da questa lista decadrà dal diritto al contributo all'editoria e di altri benefici pubblici. Il tutto avviene mentre ci si avvicina al rinnovo del contratto, in cui la parte che fissa le regole sul lavoro autonomo, sarà certamente fra le più complesse e dibattute come è successo per l’ultimo.
Adesso è necessario avere la consapevolezza dell’importanza della strada percorsa dal congresso di Bergamo a oggi, una strada segnata non solo dall’approvazione della legge, che non era scontata, ma che è stata ottenuta senza cedere ai tanti tentativi di depotenziarla, e citerò solamente un caso molto concreto, quando con un emendamento si è cercato di sostituire la frase “in coerenza con i trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria in favore dei giornalisti titolari di un rapporto di lavoro subordinato” con un molto più blando “tenuto conto”. Operazione che per fortuna è fallita grazie al lavoro della Commissione Lavoro Autonomo e di tutta la Fnsi, oltre che dell’Ordine dei giornalisti e di quella parte dei politici che sono più attenti alle questioni dell’informazione.
Allo stesso modo non ci si può nascondere che arrivare alla fine di questo percorso non sarà semplice. È giusto essere chiari e ricordare quali sono le resistenze a una legge di questa portata. Sarà inoltre necessario evitare alcune trappole sul nostro cammino: se è vero che la ratio legis è quello di fissare un compenso minimo per la prestazione professionale, questo non può tradursi nell’appiattimento verso il basso degli accordi di collaborazione esistenti.
Quello che la legge stabilisce (e la Commissione dovrà quantificare concretamente) è che sotto certi compensi non si potrà andare e questo a pena di nullità, anche se ci fosse la firma del giornalista su un accordo al ribasso, ma non vuol dire affatto che si accetterà un taglio dei compensi in tendenza a quella cifra. Inoltre, non si può pensare che questa legge – che peraltro va sempre vista in combinato disposto con la Carta di Firenze – non può essere la soluzione del problema del “lavoro povero”, del lavoro sfruttato e del lavoro grigio. Infine, come è stato denunciato dalla Fnsi, ci sono ancora molte questioni da risolvere, dalle finte “partite Iva” penalizzate anche dalla Riforma del lavoro “Fornero” all’abuso di forme di lavoro fintamente autonome al posto di quelle reali di lavoro subordinate.
La strada è ancora lunga: è per questo che non dobbiamo fermarci.
Giovanni Ruotolo