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19/04/2017

I giornalisti muoiono. Come morì Casalegno

3 maggio, Giornata della memoria a Torino

I giornalisti muoiono. Come morì Carlo Casalegno. Non sono una leggenda metropolitana, non sono i rappresentanti di una casta suicida, non sono algoritmi che scrivono le notizie secondo parametri matematici. Sono donne e uomini che cercano di scoprire come e perché sono andate le cose, e di comunicarlo agli altri: essendo la comunicazione, nell’era falsa della comunicazione, sempre più impervia. E dunque, dal 2008, l’Unci, Unione nazionale cronisti italiani, organizza la «Giornata della Memoria dei giornalisti uccisi da mafie e terrorismo»: prima sede, Roma, poi Napoli, Milano, Genova, Palermo, Perugia, Cagliari, Firenze, Reggio Calabria. La decima edizione, in collaborazione con l’Associazione Stampa Subalpina e l’Ordine dei Giornalisti del Piemonte, si svolgerà a Torino, al Circolo della Stampa, Palazzo Ceriana-Mayneri, corso Stati Uniti 27, alla presenza di numerosi familiari dei giornalisti uccisi: e questo è un fatto importante. La giornata sarà preceduta da un ricordo di Mauro Rostagno davanti alla sua casa natale, alle 17,30 di martedì 2.

E alle 9,30 di mercoledì 3 appuntamento in corso Re Umberto 54, là dove il vicedirettore della «Stampa» Carlo Casalegno abitava, e dove fu raggiunto da quattro colpi di pistola sparati in pieno volto, il 16 novembre 1977. Morì il 29 novembre. Direttore della “Stampa” era allora Arrigo Levi, a sua volta pesantemente minacciato dalle BR. Ma la sua reazione fu straordinaria, nel senso etimologico del termine, fuori dell’ordinario. Levi rispose al terrorismo, all’assassinio del suo vicedirettore, con un atto di coraggio operativo. Rispose con i fatti, dimostrò che il giornale non si piegava. Diede immediatamente vita a un grande progetto editoriale: le nuove edizioni per ogni provincia del Piemonte. Ogni provincia, da Alessandria a Vercelli, avrebbe avuto le sue pagine dedicate agli avvenimenti locali. Per realizzarle, Levi assunse, tutti insieme, una decina di ragazzi poco più che ventenni. Che cominciarono a seguire le pagine locali a Torino. Solo nel 1989, con direttore Gaetano Scardocchia, ci fu lo spostamento fisico nelle sedi locali. Levi ideò quell’iniziativa un mese esatto dopo la morte di Casalegno. Lui morì il 29 settembre del 1977, le edizioni locali debuttarono il 1° febbraio 1978. Non ci poteva essere risposta giornalisticamente migliore.
Mercoledì 3 maggio, dunque: alle 10,15, sarà intitolata a Carlo Casalegno la Sala del Consiglio regionale dell’Ordine dei Giornalisti (sarà scoperta una targa dedicata a Casalegno), alla presenza del presidente nazionale Unci, Alessandro Galimberti, e dell’ideatore della Giornata, il vicepresidente nazionale Leone Zingales. Interverranno il segretario dell’Associazione Stampa Subalpina, Stefano Tallia, e il presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte, Alberto Sinigaglia. Seguirà, dalle 10,30, la commemorazione di tutti i colleghi giornalisti uccisi o feriti dalle mafie e dai terrorismi.

Alessandra Comazzi
Presidente Associazione Stampa Subalpina


DECIMA GIORNATA DELLA MEMORIA - TESTIMONIANZE

Tra i giornalisti ricordati, anche Peppino Impastato, ucciso dalla mafia a Cinisi, il 9 maggio 1978: «La Giornata della Memoria organizzata dall’Unci – sottolinea Giovanni Impastato, fratello di Peppino – per noi familiari rappresenta intanto un momento di attenzione sul tema dei giornalisti uccisi soltanto perché facevano il proprio dovere. E poi rende giustizia alle vittime che, sino a qualche anno fa, non era ricordate con efficacia. Io ho partecipato alla prima edizione a Roma, e mi ha ben impressionato l’impostazione data all’evento. Fare intervenire direttamente i familiari ha centrato l’obiettivo. E’ importante mantenere viva la memoria per raccontare ai giovani, e non solo ai giovani, la storia delle vittime».

E Giancarlo Siani, il giovane cronista del Mattino ucciso da killer della camorra a Napoli il 23 settembre 1985: «Ho sempre pensato – scrive Paolo Siani – che il mio compito era quello di non fare dimenticare Giancarlo. Non potevo fare altro, non avevo altre armi per “vendicarlo”, e ho speso questi 31 anni della mia vita a parlare di lui e a provare a far crescere nei giovani un alto senso della legalità. Per questo motivo la Giornata della Memoria dedicata ai giornalisti uccisi da mafie e terrorismo ha per me un’importanza speciale. Sono convinto che memoria è custodire il fuoco e non adorare le ceneri, parafrasando Gustav Mahler, ed è questo il senso che io do a questa Giornata. Trasferire ai più giovani il fuoco che animava Giancarlo e tutti i giornalisti uccisi, solo così non diventeranno inutili ricorrenze. Inoltre questa Giornata serve ad accendere i riflettori sui tanti giornalisti minacciati oggi dalle mafie. Serve a non lasciarli soli. Giancarlo fu lasciato solo».

Indro Montanelli fu ferito alle gambe in un agguato tesogli dalle Brigate Rosse a Milano il 2 giugno del 1977. Il giornalista di Fucecchio, in Toscana, era nato nel 1909 ed è morto a Milano nel 2001. «Indro Montanelli – sottolinea la nipote del celebre giornalista, Letizia Moizzi – a un noto detenuto che gli scrisse nella fine degli anni Novanta rispose così: “E’ vero, sul nemico vinto non si infierisce, ma il sangue non si cancella con la gomma delle parole. Solo le vittime possono concedere il perdono”. Mio nonno è stato fortunato il 2 giugno del 1977: si prese quattro revolverate e rimase vivo. Ma tutti gli altri, morti sul campo? E’ per loro, i loro figli, le loro mogli, i loro cari e tutto il loro dolore che esiste la Giornata della Memoria dei giornalisti falcidiati da mafie e terrorismo. Ma anche per raccontare alle nuove generazioni gli Anni di Piombo, come li definì Montanelli. E cosa significhi usare le sole parole per respingere le pallottole della mafia. Chi non conosce il passato del proprio Paese, come può capirne il presente?».

Vittorio Bruno, vicedirettore del quotidiano Il Secolo XIX, aggredito a colpi d’arma da fuoco da un commando delle Br il 2 giugno del 1977 a Genova. «Soltanto la memoria, quella vera – sostiene Vittorio Bruno  – quella di fatti inoppugnabili che, nel corso degli anni, anzi dei decenni, hanno marchiato a sangue la storia di questo paese, può dare al cronista la forza, la lucidità e anche l’equilibrio che oggi sono necessari per riuscire a fare fino in fondo il proprio lavoro. Perchè è così che la stampa potrà contribuire a quel cambiamento di cui tutti, a parole, continuano a riempirsi la bocca, ma che invece resta purtroppo ancora un miraggio».
 
E a Torino sarà ricordato anche un altro giornalista, Antonio Cocozzello, classe 1930, originario della provincia di Foggia e scomparso a maggio del 2014. Il 25 ottobre 1977 fu ferito da terroristi delle Brigate rosse a Torino. Alla fine del luglio 1983 si concluse il processo alla colonna torinese delle Br responsabile di 10 omicidi, 17 tentati omicidi, 2 tentate stragi, sequestri ed aggressioni. I giudici inflissero 12 ergastoli e complessivi 300 anni di carcere per gli imputati (e furono condannati anche gli autori dell’agguato a Cocozzello, tra cui il capo-brigatista poi pentito Patrizio Peci).
Al lavoro politico-sindacale ha affiancato una proficua e coraggiosa attività pubblicistica dirigendo periodici e collaborando con numerose testate tra cui la Gazzetta del Popolo. La figlia Rita, in prossimità dell’evento di Torino organizzato dall’Unci, ha dichiarato: «Da sempre il terrorismo ha come obiettivo principale il sovvertimento della democrazia attraverso l’attacco alle sue istituzioni. Ed è quello che avvenne in Italia durante gli anni di piombo. Anni durante i quali i nostri cari e le nostre famiglie pagarono col sangue e con la sofferenza la difesa di uno dei principali diritti democratici: la libertà di stampa. E, a distanza di così tanti anni, noi famigliari siamo orgogliosi che il loro ed il nostro sacrificio non siano stati vani. E ritengo meritorio che ci siano Giornate come queste, che tengano vivo il ricordo del passato, affinché resti alta la guardia a difesa della democrazia e delle sue istituzioni».

Antonio Garzotto, cronista giudiziario dell’edizione di Padova de “Il Gazzettino” di Venezia, è stato gambizzato dai terroristi dell’Unione comunisti combattenti il 7 luglio 1977 ad Abano Terme (Padova). E’ stato raggiunto da cinque proiettili poco dopo essere uscito di casa. I terroristi lo hanno colpito per i suoi articoli e le sue inchieste sull’Autonomia operaia di Padova. «Ho conosciuto di persona il vice-direttore de La Stampa, Carlo Casalegno – sottolinea Garzotto in un messaggio inviato all’Unci - ad una manifestazione di Autonomia e di altre organizzazioni della sinistra extraparlamentare a Bologna, nell’autunno del 1977, pochi mesi dopo l’attentato che avevo subito. “Sei stato molto coraggioso” mi disse in quella occasione. Ma io non mi sentivo coraggioso. Avevo paura, come tutti noi. Ricordo l’angoscia di uscire di casa ogni mattina, poco dopo che la Digos di Padova mi aveva avvertito di aver trovato il mio nome in una lista di bersagli in un covo “freddo”. Quando sentii i cinque colpi di pistola, tutti a segno, quella mattina provai quasi una sensazione di sollievo. “Almeno sono arrivati”, pensai. E’ stato così per tutti noi: paura ma determinazione a continuare a fare il nostro lavoro. Una determinazione che molti, troppi, hanno pagato con la vita».


Anche la figlia di Mauro De Mauro, il cronista del quotidiano L’Ora sequestrato e ucciso da killer della mafia a Palermo il 16 settembre 1970, ha fatto pervenire un messaggio agli organizzatori della 10° Giornata. «Essere famigliare di una vittima di mafia – ha sottolineato Franca De Mauro – spinge anche a riconsiderare il senso di alcune definizioni comuni. Non si può che essere parte di un popolo di vittime molto più vasto e penso in particolare ai giornalisti uccisi in Messico, nella Russia di Putin, ai tanti imprigionati nelle carceri turche ad opera di Erdogan. Per tutti loro la Giornata della Memoria promossa dall’Unione Cronisti Italiani mi sembra il modo migliore per ribadire la volontà di lottare per la verità contro ogni tentativo di imbavagliare le notizie. Ma un modo di imbavagliarle è anche parlare di “2500 esuberi” e non “2500 licenziamenti”, parlare del “tragico incidente di Bascapè” e non “dell’assassinio di Mattei”. Le parole sono importanti. Sta ai cronisti italiani farle vivere nel nome della verità».

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