Per i giornalisti torinesi saranno tre giorni importanti. Prima il corteo del Primo Maggio, lunedì, e poi la "due giorni" dedicata al ricordo dei colleghi uccisi dalle mafie e dal terrorismo.
Attaccati e impauriti da una crisi che non smette di mordere, quasi non abbiamo più il tempo per riflettere sulla nostra professione e sui suoi cambiamenti. Travolti, anche noi che ne siamo gli attori principali, da quel flusso di notizie che parte dai social media per arrivare alla carta stampata e che sottrae spazio al pensiero.
Eppure, motivi per ragionare e interrogarci ce ne sarebbero molti, a partire da quelli strettamente sindacali
Se la perdita di posti di lavoro non si arresta e se non passa settimana senza che nella nostra regione qualche giornalista perda l’occupazione, continua a crescere allo stesso tempo il numero dei collaboratori pagati spesso sotto la soglia della decenza. Proprio la combinazione di questi due fattori fa sì che, anche nella nostra categoria, ci si trovi frequentemente di fronte al ricatto occupazionale che costringe le persone ad accettare qualunque condizione imposta dal datore di lavoro pur di non correre il rischio di perdere il posto.
Il menù “o mangi questa minestra, o salti dalla finestra” inizia ad essere servito sempre più frequentemente anche ai giornalisti ed è piuttosto indigesto. Lo è per qualunque categoria di lavoratori; lo è ancor di più per chi come noi si trova a presidiare una parte importante del sistema democratico: attaccare la dignità e l’indipendenza dei giornalisti – è bene ricordarlo sempre - significa attaccare direttamente la libertà dell’informazione.
Tuttavia, la sola strada per difendere i diritti resta quella dell’unità. L’unità tra i lavoratori dipendenti e i lavoratori autonomi, anzitutto, per sconfiggere due pensieri speculari ed ugualmente pericolosi. Da un parte l’idea che la richiesta di diritti e compensi adeguati per i collaboratori significhi mettere in discussione i salari di chi oggi è assunto. Al contrario, è proprio la presenza di un esercito di sfruttati che mina le condizioni di chi si trova all’interno delle redazioni.
L’altra idea da combattere è quella che vuole che le risorse per ottenere compensi più decenti per i collaboratori debbano arrivare dalle buste paga di chi è assunto.
Come diceva qualcuno, si parte e si arriva tutti insieme, l’alternativa è una sterile guerra tra i lavoratori che non può che peggiorare le condizioni di vita di tutti.
Ma l’unità dev’ essere anche con le altre categorie di lavoratori dell’informazione. In questi anni di crisi abbiamo imparato che sono sviluppando solidarietà più ampie è possibile trovare soluzioni eque.
Anche per queste ragioni è importante essere in piazza il Primo Maggio con tutti i lavoratori.
Altrettanto importante sarà la presenza della categoria il 2 e il 3 maggio, quando in occasione della giornata della memoria ricorderemo Carlo Casalegno, Mauro Rostagno e tutti i giornalisti uccisi dalle mafie e dal terrorismo.
Uomini e donne che non hanno avuto paura di rischiare perché fosse fatta luce sulle tante trame oscure del nostro paese, perché l’opinione pubblica potesse essere informata correttamente.
Quando si parla del giornalismo come baluardo della democrazia non servono molte parole. E’ sufficiente l’elenco degli undici colleghi uccisi che ripeteremo mercoledì mattina a Palazzo Ceriana: Giuseppe Alfano, Carlo Casalegno, Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Giuseppe Fava, Mario Francese, Peppino Impastato, Mauro Rostagno, Giancarlo Siani, Giovanni Spampinato, Walter Tobagi.
Stefano Tallia
Segretario Associazione Stampa Subalpina
Al corteo del 1° Maggio
3 maggio, giornata della memoria