Introduzione di Alberto Papuzzi
presidente dell’Associazione Stampa Subalpina
In questo saluto inaugurale vorrei ricordare come è nato il Mediaforum: una decina di anni fa, nel 1995, il primo Mediaforum coglieva un dato importante delle vicende giornalistiche, cioè i cambiamenti della stampa locale, in una fase complessa – iniziavano a lavorare i professionisti anche nelle redazioni locali – in cui la stampa locale era il dato più positivo dell’editoria, soprattutto nel nord-ovest. In quell’anno nasceva anche la Fipe. Poi ci furono altri due Mediaforum: nel ’96 e nel ’99.
Oggi siamo in presenza di una fase che, a mio giudizio, avendo alle spalle 40 anni di attività nei giornali, è forse la più rilevante per quanto concerne le trasformazioni nella struttura dell’informazione e nel ruolo dei giornalisti.
I rapporti fra la stampa e gli altri media, i progetti di “continuous news”: la notizia, in questo progetto di rinnovamento, può rischiare di diventare sempre più una merce. Qui entra in gioco l’identità del giornalista, il suo ruolo. Che cosa garantisce le funzioni della qualità? La capacità del giornalista di interpretare i fatti secondo le esigenze dei suoi lettori. Proprio su questo tema ci si scontra anche su uno dei contratti più difficili nella storia dell’informazione in Italia negli ultimi cinquant’anni.
C’è un grosso punto interrogativo sul ruolo dei giornali e soprattutto su quello dei giornalisti: pure macchine da desk o interpreti della realtà.
Il Mediaforum si colloca in una serie di iniziative che puntano ad entrare in questo problema: la condizione del giornalista. Ne ricordo due: il master in giornalismo, nato da un accordo tra l’Università e l’Ordine, per sottrarre la formazione del giornalista alle aziende; e il nostro giornale, “Stampa Subalpina”, che è diventato un prezioso strumento per discutere tutti questi problemi.
Saluto di Valter Giuliano
assessore alla Cultura della Provincia di Torino
Non so se il futuro dell’informazione è legato alla carta o meno; quello che non dovrà mai mancare è però la figura del giornalista. Dobbiamo iniziare ad entrare nell’ordine di idee di capire quanto sia un’informazione responsabile quella che apprendiamo tutte le volte che apriamo un sito internet. Per questo, per la sua responsabilità e per la sua etica, è irrinunciabile la figura del giornalista che si attiene ad una deontologia ben precisa.
E’ opportuno chiedersi, quindi, quale sia il ruolo non soltanto dei giornali ma soprattutto dei giornalisti. La riflessione che voi volete svolgere in queste due giornate è molto opportuna. Il rapporto tra chi amministra e fa politica con la stampa è importante, intenso, ricco in un territorio come il nostro, dove non manca l’informazione locale, costante osservatorio che vigila sulla realtà che ci circonda senza dimenticare l’orizzonte globale nel quale viviamo.
E’ nostro interesse allacciare un rapporto intenso con i media, perché il mondo dell’informazione è strategico nel trasmettere le iniziative dell’amministrazione alla cittadinanza, sia come servizio, sia come controllo nei confronti dell’amministrazione stessa.
Questa dimensione locale si rapporta sempre più alla cultura globale e anche il più piccolo Comune fa parte di una dimensione quanto meno europea, in questo forse dovremo cominciare a chiedere più Europa nei nostri giornali. Non conosciamo ancora così bene gli altri Paesi dell’Unione e forse l’Europa dovrebbe iniziare a comunicare meglio: su questo ci dicono qualcosa i risultati dei referendum sulla Costituzione europea.
Le realtà editoriali locali rappresentano un patrimonio e una ricchezza straordinaria, che in poche altre parti d’Italia si possono riscontrare. In Piemonte abbiamo una rete diffusissima di settimanali locali, molto letti e acquistati. La Provincia si rivolge da tempo ai giornali locali, ad esempio con la convenzione fatta con la Fipe, per diffondere le nostre pagine istituzionali su tutti i giornali della provincia, per fare un’informazione di servizio ed essere il più vicino possibile ai cittadini.
Gli uffici stampa sono un altro capitolo aperto in questi anni, proprio per dare maggiore professionalità a chi lavora negli uffici stampa, per fare in modo che questa professione possa costruire uno stretto rapporto tra gli amministratori e i giornalisti. Negli uffici stampa la Provincia ha impiegato giornalisti: in questo modo si contribuisce allo sviluppo di un’informazione locale dalla quale non si può più prescindere.
Comunicare l’Europa: come?
di Matteo Fornara
della Rappresentanza della Commissione Europea in Italia
La costruzione europea attraversa una crisi di crescita; il controverso processo del trattato costituzionale, rallentato se non bloccato dai referendum, ha accentuato questa crisi. Il blocco del processo costituzionale e un certo euroscetticismo, presente anche qui in Italia, ci obbliga a cercare il consenso dei cittadini, che ora percepiscono l'Europa come lontana. L’ufficio della comunicazione di Milano ha lanciato, quindi, un rapporto di relazione sistematica con tutti i giornali locali del nord, per dare un servizio al cittadino e spiegare le ragioni dell’Europa. In Piemonte abbiamo relazioni con diversi giornali, rapporto prima inesistente tra istituzioni europee e giornali.
La lettrice e il lettore classico della stampa locale è interessato a quello che capita nelle vicinanze ma anche ad integrarsi pienamente nella sua comunità; è quindi importante che conosca l’incidenza dell’Europa nel proprio territorio. Da mesi noi della rappresentanza della Commissione a Milano ci impegnamo in una maggiore attenzione alla comunicazione pubblica, attraverso un’azione di sensibilizzazione proprio con il rapporto con i giornali locali, su tematiche concrete, che interessano il territorio e sviluppate sotto svariate forme.
Noi della Commissione non possiamo fare tutto da soli, abbiamo bisogno della collaborazione delle altre istituzioni e, soprattutto, dei giornalisti.
Il progetto “Unione Europea e media locali” propone strumenti formativi e informativi per i giornalisti, soprattutto i giovani giornalisti, della stampa locale.
Tavola rotonda
Il futuro dell’informazione locale
Pietro Policante
Presidente Fipe
E' culturale, sociale e politica la funzione dei nostri giornali. Eredi dei fogli locali dell’800, che si aprivano e chiudevano con facilità, i nostri giornali hanno accompagnato la storia del Piemonte, qualche volta venendone travolti: “La Stampa” fu costruita su quello che era la “Gazzetta Piemontese”, che faceva 5-6 mila copie. Sul piano culturale i nostri giornali hanno quattro riferimenti: quello cattolico, quello laico-istituzionale, quello ancora di matrice socialista e quello di editori indipendenti. Ci sono testate locali che hanno già passato i cento anni, soffrendo con le popolazioni del luogo e risorgendo con esse. Sono la vera e concreta esperienza del pluralismo della nostra informazione: chiunque abbia voglia di dire la sua trova sempre qualcuno ad accoglierlo. Nel solo Piemonte i giornali locali diffondono oltre 600 mila copie, con oltre 2 milioni e mezzo di lettori.
La movimentazione economica si aggira sui 50 milioni di euro. Per salvaguardare tutto questo è nata la Fipe in Piemonte nel ’95, poi allargandosi alle regioni confinanti, arrivando fino in Calabria.
La Fipe è nata nel contesto storico della crisi dell’editoria, quando s’interruppe il trand positivo della stampa riscontrato negli anni ’80. Fino a quel momento i giornali locali erano tollerati come editoria minore, per i giornalisti era impossibile accedere al praticantato e al professionismo. In quel momento si accende l’interesse sindacale verso i giornali locali, visti come prospettiva per nuovi posti di lavoro.
Sul futuro, soprattutto per avere un futuro, stiamo lavorando. Vogliamo riconosciuta ai nostri giornali pari dignità con la grande editoria, perché i problemi che derivano da questa disuguaglianza sono parecchi: la disparità nella tariffazione postale, le aste giudiziarie (solo nel 2003 equiparazione tra quotidiani e giornali locali), le agevolazioni nell’utilizzo delle nuove tecnologie.
Noi siamo già piccoli, e spesso ci vengono aggiunti pesi e ostacoli, però va riconosciuto che nella Regione Piemonte per quanto di competenza delle istituzioni locali questo non ha luogo: ricordo il sincero appoggio dell’ex presidente Ghigo come quello dell’attuale presidente Bresso e della Provincia guidata da Saitta. Ma a Roma la lobby dei poteri (e quindi dei giornali) forti si sente e come.
Secondo un’inchiesta del Financial Times il futuro dell’informazione è proprio nella qualità e nell’informazione locale, per la nostra prerogativa di essere più vicini alla gente e ai suoi bisogni. Ma anche noi abbiamo, comunque, difficoltà a mantenere l’attenzione dei nostri lettori, s’impone un salto di qualità culturale e mentale che non escluda nessun attore della scena dell’editoria locale.
Non secondario è l’aspetto economico: vi sono difficoltà evidenti sul costo del lavoro. Se le richieste sindacali risultano irricevibili per i grandi editori, figuriamoci per i piccoli. Le alternative non sono molte: o si apre una contrattazione nuova, alternativa o si segue una strada già aperta da altri e in altre regioni già ben accolta. E’ bene che nessuno si faccia alcuna illusione, perché se i giornali locali non riescono a stare nelle regole, non spariscono: restano fuori dalle regole, con prospettive disastrose.
Sul sostegno pubblico, purtroppo, pare che non ci siano più soldi, anche se qualcuno deve capire perché per radio e tv arrivano soldi e a noi no. Oppure Torino capoluogo, dove arrivano contributi notevoli nonostante una redazione misera, penalizzando chi ha ben altri organici.
Dobbiamo pensare a forme nuove di sostegno, dobbiamo legare i contributi all’occupazione, immaginare un credito d’imposta legato non alla carta ma al costo del lavoro.
Nel nostro futuro vedo un grande impegno e tanta voglia di andare avanti da parte di noi editori.
Carlo Marletti
docente di Sociologia della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Torino
La Fipe fu un passo avanti importante per sviluppare l’occupazione e per consentire a molti giovani, che iniziano la loro carriera in questi piccoli e grandi media, di entrare a pieno titolo in questa carriera. I “piccoli” giornali sono stati una fucina vera di qualità e professionalità nuove. Il sistema dei piccoli giornali locali ha una forte penetrazione nel territorio, cosa che un quotidiano provinciale, come esiste in altre regioni, non potrebbe permettersi. Lo stesso giornale “La Stampa” fatica qui a tenere il passo con la notiziabilità che questi piccoli giornali sono in grado di offrire. Scommisi su questo settore e vent’anni dopo sono contento di vedere che avevo ragione. Presenteremo presto una proposta di legge alla Regione per l’editoria locale, nello studio che stiamo portando avanti per questo progetto di legge ci siamo resi conto una volta di più di quanto sia importante l’esistenza dei giornali locali sul territorio, anche in termini di occupazione.
E’ necessario sviluppare delle ricerche su queste realtà, imprese per lo più sane, ma il rischio di crisi c’è senza dubbio . Bisognerebbe lavorare sul turn over, sul cambiamento generazionale dei lettori. I più anziani sono ancora molto affezionati, però l’atteggiamento dei più giovani sta cambiando. Se la lettura dei giornali rimane stabile, per i giovani il ricorso al web sta superando nettamente anche l’ascolto dell’informazione radio-televisiva. Stanno mutando le diete d’informazione dei segmenti di popolazione che vanno fino ai 35 anni e su questo bisogna muoversi.
Le radio televisioni e i giornali non sono sistemi integrati, vanno per loro conto. Però ora le cose stanno cambiando, perché non è più la tv il momento centrale per integrare i media. Oggi lo strumento centrale, sul quale stampa e tv si incontrano, sono le nuove tecnologie. La digitalizzazione del territorio porterà lo sviluppo di un nuovo settore d’informazione che ricadrà nelle realtà locali: quello di servizio. Permettendo quindi un’espansione dell’informazione di servizio notevolissima, pensate solo alla sanità.
Pensate alla potenzialità che avranno i cellulari, il giornalista dovrà tenere conto che una certa modulazione del suo servizio servirà anche alle news sul telefonino. Non dobbiamo arrivare impreparati all’approdo nelle nuove tecnologie.
Mauro Giubellini
direttore de Il Canavese
C'è bisogno di pari dignità in tutti i campi: imprenditoriale, perché le aziende che in Piemonte editano dei giornali e trasmettono in tv e sulle radio sono aziende sane e cercano di essere competitive; culturale, perché giornali come L’Eco del Chisone, La Sentinella o il Risveglio hanno un secolo di storia e sono davvero il diario delle comunità piemontesi, affatto omogenee come appaiono a prima vista; politico, perché una battaglia che va fatta è quella contro i politici che quando hanno a che fare con la stampa locale pensano di poter giocare il ruolo dei forti contro i deboli e in Piemonte questa battaglia è stata combattuta in silenzio ma con autorevolezza einfine vincendola; professionale, purtroppo la situazione è cambiata, negli anni ’90 era ottima, adesso è più difficile, non perché gli editori hanno innestato la retromarcia ma perché sono cambiate le condizioni economiche nel nostro mercato.
Stefano Tallia
vicesegretario Associazione Stampa Subalpina
Voglio citare un esempio sano ed è quello di Radioradicale: la Fnsi s’impegnò perché venisse rinnovata la convenzione per il servizio pubblico, ponendo come condizione l’applicazione del contratto giornalistico. Questo perché gran parte dei colleghi che lavorano nelle radio-tv lo fanno senza avere alcuna tutela e senza nessuna regola. Perché il contratto non è solo una questione di tipo economico, ma soprattutto una questione di tutela e di regole per poter permettere ai giornalisti di mantenere la schiena dritta nei confronti del proprio editore.
E’ evidente che c’è una disuguaglianza delle risorse tra tv e carta stampata; vedo con favore su questo punto il decreto proposto da Gentiloni.
Noi siamo disponibili a sederci al tavolo con la Fipe: perché è vero che l’editoria locale ha un futuro, ma ha un futuro se saprà investire con prospettive di lungo periodo, che permettono di guadagnare e consolidare uno spazio.
Piera Egidi-Bouchard
vicepresidente Associazione Stampa Subalpina
La stampa locale è vicinissima alla gente, in continua partecipazione, in continua sinergia con la cittadinanza, e ciò rende il lavoro molto complesso, pieno di contraddizioni, ma di contraddizioni che sono feconde.
I piccoli giornali sono fucina di professionalità, ma anche di democrazia in questo processo di osmosi tra chi scrive e chi legge. E il rapporto con i giovani è da sviluppare e in molti modi questo sta già avvenendo, penso ad alcune sinergie tra testate e radio locali: questo è un flusso di partecipazione notevole. Da quel che ho visto sono meno scadenti i programmi locali di quel che ci propinano i grandi network nazionali, perché il giudizio è più immediato e prossimo.
Noi cerchiamo senz’altro di tenere la schiena dritta, non è facile, è importante il rapporto con le istituzioni democratiche a livello locale, soprattutto per i giovani che iniziano questo lavoro.
Buongiorno, giornalisti
di Massimo Gramellini
vicedirettore de La Stampa
Un paio d’anni fa Enrico Mentana mi ha detto: “Sono pronto a scommettere che entro dieci anni tutti i giornali saranno gratuiti”. Penso che il rapporto con la pubblicità sia davvero il grande tema centrale della nostra professione.
Per la nostra professione il giorno più brutto è stato l’11 settembre, evento che ha fatto venire voglia di leggere a parecchia gente. La pubblicità in quei giorni non ha investito, frenata dal clima triste. Quindi in quei giorni per gli editori ci sono stati due conti: aumento delle copie ma diminuzione della pubblicità. Risultato: conti in rosso. E da qui nasce negli editori la consapevolezza che la pubblicità è la cosa più importante. Noi a questo dobbiamo prestare molta attenzione, perché l’unico padrone sono sempre i nostri lettori.
Ogni mattina succede un miracolo, sei milioni di persone comprano un quotidiano: è un autentico miracolo per il livello medio-basso da “pupa e secchione” della società in cui viviamo, e il merito di questo miracolo è anche un po’ nostro.
Abbiamo ancora un grande ruolo da svolgere, i cittadini hanno ancora grandi aspettative da noi, questo rapporto con il lettore non va mai dimenticato e finché la maggioranza di noi mentre scrive si ricorda di questo rapporto non moriremo mai.
Non siamo né servi né impiegati, ma artigiani e non dimentichiamoci mai di questo.
Intervento di Franco Siddi
presidente Fnsi
Oggi a Roma, al ministero del Lavoro, abbiamo discusso del capitolo “previdenza”. Il ministro del Lavoro Damiano ha chiesto agli editori di avviare il tavolo per la previdenza come aveva già fatto per il contratto.
I temi erano la riforma previdenziale (che prevede l’aumento dell’età) e gli sgravi contributivi concessi alle imprese che assumono disoccupati (gli editori hanno chiesto un’ulteriore allargamento, non solo agli ex art.1, ma anche 2, 12 e 36). Gli editori hanno confermato la linea solita, esprimendo difficoltà ad aderire a questi progetti di riforma, pur accettando di discutere. Sul piano tecnico, dopo tre ore di lavoro, posso dire che è stata una riunione interlocutoria. Qualche passo avanti nel merito gli editori lo hanno fatto. Sull’Inpgi hanno chiesto il 50 per cento del Cda, quindi che ci siano 12 editori accanto ai 12 giornalisti, questo ci ha sconcertato: gli istituti devono esser gestiti dai lavoratori, non dalle imprese, e in questo i tecnici del Ministero sono stati precisi. Hanno mantenuto ferma questa richiesta, lanciando la palla in avanti per aprire un fronte non solo con noi, ma col Governo: intendono regolare dei conti con noi e, in secondo luogo, vogliono rivedere i rapporti con Governo e Stato forse per ottenerne nuove misure assistenziali.
Non c’è stata rottura, comunque; il tavolo è stato interlocutorio, ci sarà un nuovo incontro.
Sull’informazione locale voglio dire che si tratta di un punto nevralgico del sistema complessivo, perché è il primo luogo dove si forma la coscienza della cittadinanza. Può ancora giocare un ruolo importante se è puntualmente un difensore civico dei lettori a cui si rivolge, caratterizzandosi come rappresentazione vera della realtà territoriale locale. I piccoli editori purtroppo oggi stanno puntando su altre cose, perché si pensa all’informazione non per l’interesse collettivo ma per il bacino pubblicitario: so bene quanto sia diventato invadente il potere della pubblicità locale, bisogna definire uno statuto dell’impresa editoriale che aiuti e garantisca la correttezza dell’informazione. Generalmente l’editoria locale, come tutta la stampa, non è in quello stato critico che gli editori vogliono fare credere: se facciamo un’analisi dei dati Fieg degli ultimi anni, notiamo che il costo del lavoro è diminuito. Il costo del lavoro non è vero che supera il 50 per cento, in relazione alla maggior parte del sistema è più basso, mentre i ricavi sono cresciuti, soprattutto nella pubblicità, anche nella stampa, dove rimane il danno della disuguaglianza rispetto alla tv, con dei carichi pubblicitari che stanno aumentando però.
Il contratto, il sindacato, il lavoro della concertazione è faticoso ma non ha mai fatto male.
Giornali e giornalisti del futuro
Faccia a faccia tra Giulio Anselmi e Salvatore Tropea
Salvatore Tropea, inviato de la Repubblica: Siamo diventati il parafulmine, noi giornalisti, pare che la colpa sia sempre nostra: sia Prodi o Berlusconi, D’Alema o Fini, Simona Ventura o Bobo Vieri, ma per tutti è sempre colpa nostra. Cosa sta accadendo, si aspettano qualcosa di diverso da questi giornalisti?
Giulio Anselmi, direttore de La Stampa: Quando facciamo bene quel che dobbiamo fare, siamo sempre un “potere contro”. Quindi sono contento che Prodi si sia comportato in modo speculare a Berlusconi. Non sono stupito del comportamento di Prodi, perché pur avendo votato per il centrosinistra, pur essendo stato definito “direttore prodiano”, so benissimo quanto Prodi sia rancoroso e quanto non mandi giù le critiche. Berlusconi è più allegro, è un seduttore e non tollera di perdere questo ruolo, mentre Prodi non accetta di sbagliare.
Di fronte ai politici, quasi sempre, anche con quelli meno arroganti, vi troverete sempre di fronte al discorso: “prima che arrivassi io, tutto andava male”. Di rado mi è capitato di incontrare imprenditori diversi dai politici, da questo punto di vista.
E’ un pessimo giornalista colui che sta professionalmente dalla parte di qualcuno: scrive quello che i suoi rapporti gli consentono di scrivere e capita di frequente di sentirlo parlare al plurale. Il punto in cui deve finire il rapporto funzionale al mestiere è quello in cui i giornalisti cessano di esser tali per diventare tifosi. Non è un caso che tanti di noi facciano carriera politica o gli addetti stampa nelle aziende. Se un giornalista economico inizia a fare l’addetto stampa per un’azienda non potrebbe più, a mio modo di vedere, tornare a fare il giornalista.
Salvatore Tropea, inviato de la Repubblica: Il giornalismo oggi è stretto dentro confini: da un lato il mondo dei blog, quest’apertura a tutti in qualcosa che assomiglia al giornalismo ma che giornalismo non è, dall’altro quello della pubblicità, sempre più aggressiva, sempre più invadente. Siamo in grado di difendere un’innocenza che abbiamo in parte perduta? Cosa rimane del giornalismo?
Giulio Anselmi, direttore de La Stampa: Il cambiamento c’è e credo non si possa affrontare in termini corporativi, come spesso facciamo. Il giornalismo diffuso, per certi aspetti, è anche un bene (più che i blog, che hanno il grande difetto di incontrollabilità perché internet arriva addosso come un rovescio di temporale): pensiamo alla fotografia possibile col telefono cellulare. Questo porta grande ricchezza informativa. La pubblicità è anche un grande elemento di comunicazione: quando voglio fare arrabbiare i miei dico: “Su questo giornale l’unica cosa bella è la pubblicità”. Nel mezzo di questi due elementi ci siamo noi, solo nel rigore e nella nostra credibilità c’è lo specifico della differenza. Non credo che si possa rinunciare ad un profilo etico come fil di ferro del nostro mestiere. Sono convinto che l’obiettività nei giornali sia estremamente difficile, una linea di tendenza che violiamo costantemente, ma comunque una linea di tendenza.
Salvatore Tropea, inviato de la Repubblica: Sono perplesso sulla stampa free press, quando vado in un ospedale e vedo cosa si legge ora, pensando a cosa si leggeva vent’anni fa… La free press è l’estremizzazione della televisione per gli editori di importanti quotidiani, per me un’anomalia, pare ci stia pensando anche il mio... Un’altra anomalia è quella delle scuole di giornalismo, che rischiano di diventare una fabbrica di disoccupati.
Tu adesso ti prepari ad un fatto molto importante, molto atteso, mi sto riferendo al cambiamento de La Stampa, che si prepara ad affrontare il suo pubblico; in altre città sarebbe più facile, a Torino però è qualcosa di diverso.
Giulio Anselmi, direttore de La Stampa: Sembra che la linea degli editori oggi sia proprio quella dei giornali gratuiti, c’è un problema di tutela dei colleghi delle free press, che spesso sono braccianti del nostro mestiere. C’è anche un problema di qualità del nostro mestiere, credo che bisognerebbe fare una profonda revisione del nostro mestiere, dal punto di vista del "come" lo facciamo. Penso che dal momento in cui superiamo l’esame da professionisti facciamo lo stesso ragionamento di uno statale che entra in un ministero. E’ difficile avanzare pretese se non si è disposti a mettersi in discussione.
I giornali hanno il compito di “vestire” la notizia, un complesso comunicativo ricco, sulla base della convinzione che questo sia l’unico modo di battere la tv, e questo in una certa misura è vero.
Sulle scuole di giornalismo posso dire che se la scelta dev’essere tra iscriversi ad una scuola e frequentare un giornale io consiglio la seconda. Sono convinto che un’Università come lo Iulm di Milano rappresenti una fabbrica di frustrati. Perché abbiano un senso le scuole è evidente che bisogna collegarle a degli sbocchi sul lavoro.
Quanto alla Stampa, se io avessi potuto evitare tanti passaggi nella mia carriera professionale, lo avrei fatto. Negli avvitamenti carpiati uno ha sempre paura di farsi un po’ male. Le vie del colore e del formato più piccoli mi paiono però vie obbligate. Con tutti i rischi che comportano, in un mercato conservatore e abitudinario. Credo che si tratti di una via obbligata in una lettura aggiornata di cosa sia un tabloid. I giornali diventano più piccoli. Più comodi, è importante non rinunciare all’eleganza, all’autorevolezza e a una certa piacevolezza complessiva, aggiungendo un po’ di bellezza.
Master di giornalismo
di Vera Schiavazzi
coordinatore del Master di giornalismo dell’Università di Torino
Purtroppo la scelta di frequentare un giornale facendo la gavetta non esiste più. Va sottolineato che i master sostituiscono il praticantato, consento di accedere all’esame. Sono diciannove in Italia, a numero chiuso. Noi abbiamo scelto di non fare un corso annuale ma biennale. Perché ci piace essere una scuola artigianale, facciamo un giornale in qualche misura vero, senza pretese ma tra le 30-35 mila copie, e si è attestato come giornale dell’università. Che cosa succede dei nostri studenti? Giungono da tutte le parti d’Italia per metà, l’altra è piemontese. Sono laureati (laurea triennale di primo grado), spesso in Scienze della comunicazione. Alla fine del biennio hanno fatto due estati di stage, con risultati sicuramente formativi per loro e, ritengo, spesso anche utili per le aziende: è una contaminazione interessante e creativa con colleghi più giovani che raramente si vedono nelle redazioni. Il nostro master costa meno di altri, 5 mila euro per due anni, che credo sia una cifra alla portata di quasi tutti. Su venti diplomati del primo biennio otto hanno attualmente un contratto di lavoro.
Le scuole sono nate per la difficoltà di entrare in una redazione e per l’anomalia che consente di poter fare il giornalista con la sola licenza media inferiore.
Attualmente abbiamo un progetto di formazione in Bosnia e in Africa che si concretizzerà a partire dal prossimo Natale.
Incontro sulla legge 150
Gianni Firera
presidente dei Giornalisti Uffici Stampa del Piemonte
Aspettiamo di essere convocati dagli Enti locali, ma veniamo ancora ignorati. Mi pare che la tendenza sia quella di non far ancora riferimento alla 150. Il tavolo con Cgil,Cisl e Uil è stato aperto. Mi auguro che si riesca finalmente a creare un blocco unico per riuscire a portare a casa questo contratto che noi ormai desideriamo fortemente.
Ezio Ercole
vicepresidente dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte
Ci sono colleghi che l’Ordine lo butterebbero alle ortiche, altri lo terrebbero così come è, altri lo vorrebbero aggiornare. La legge 150 l’hanno voluta i parlamentari Frattini e Dibisceglie, l’ha voluta la categoria, ma non tutta la categoria e qualche eco l’abbiamo sentita anche prima. In riunioni ufficiali mi ricordo fior di giornalisti che affermavano che colleghi che lavoravano negli uffici stampa non erano giornalisti. Non da ora si parla di giornalismi, significa che ci sono delle tipizzazioni diverse all’interno dello stesso mondo. Ci ha creduto la Fnsi e ci ha creduto l’Ordine. Il Piemonte su questo è riuscito ad esser antesignano. Molti di noi si sono iscritti grazie ad una delibera del 1982 che anticipò notevolmente l’Ordine nazionale.
Abbiamo la nostra deontologia professionale e sappiamo autoriformarci. Si faceva prima un bel parallelo con gli artigiani, quello del giornalista è un mestiere meraviglioso che si sta scontrando e incontrando con le nuove tecnologie.
Giovanni Rossi
segretario aggiunto Fnsi
coordinatore nazionale Uffici Stampa
Mercoledì c’è stato un incontro informale con Cgil e Cisl, con le loro rappresentanze del pubblico impiego (l’assenza della Uil era relativa ad impegni precedentemente assunti). L’inizio non è stato dei più semplici, siamo giunti però ad un’intesa procedurale: analizzeranno il testo di profilo professionale che abbiamo già consegnato all’Aran e già sottoscritto da quasi tutti i sindacati non confederali. I sindacati confederali hanno assunto questo impegno e nei primi giorni di novembre dovrebbe avvenire un incontro formale per analizzare possibili loro emendamenti al testo e tentare, attraverso la discussione, di raggiungere un testo unico che aggiunga le firme dei confederali a quelle della Fnsi e dei non confederali. Se riuscissimo a fare questa operazione sarebbe un notevole passo in avanti.
Successivamente alla consegna di quel testo all’Aran, si aprirà tra noi e i confederali una discussione sulle forme della rappresentanza, cioè su chi sarà delegato a trattare. Il dispositivo della legge è chiaro: “l’Aran deve trattare con il sindacato dei giornalisti”. Quindi andremo al confronto con i confederali con questi elementi di forza.
Una lunga esperienza ci abituati ad agire con pazienza, ma con determinazione.
Le posizioni Inpgi nella pubblica amministrazione ha prodotto dei risultati: sono già oltre mille.
Abbiamo già incontrato le Province, dall’Anci non abbiamo ancora avuto risposte invece.
Esprimo rammarico per la scarsa sensibilità dimostrata dal Dipartimento della Funzione pubblica, ci era stato assicurata l’attivazione di un tavolo al Ministero, le date fissate sono state sempre rinviate fino al sine die. Non pretendiamo di essere un’emergenza, ma crediamo che il problema debba essere considerato. Il secondo elemento critico è il silenzio dell’Aran, non è possibile che per mesi e mesi un’agenzia delegata ad occuparsi di queste cose dal Governo non lo faccia.
Esprimo solidarietà all’emittente Tele PA, la cui redazione è vittima di una ristrutturazione decisa dallo stesso Ministero, con otto giornalisti che rischiano il posto del lavoro.