Relazione di Franco Tropea
Segretario dell’Associazione Stampa Subalpina
Da venti mesi la nostra categoria è in lotta per il contratto, ma nulla è bastato agli editori per convincersi a sedere al tavolo delle trattative, nonostante il tentativo dello stesso ministro Damiano. I giornalisti hanno agito in unità, a parte piccole manifestazioni di crumiraggio ostili al sindacato. Gli editori pensano di fare profitti nel modo più facile e più rapido, tagliando il costo del lavoro e incrementando l’esercito dei precari.
Il Governo deve valutare la delicatezza dei problemi e fare le sue mosse. Il decreto Gentiloni si muove verso il ripristino di regole nel sistema radio-televisivo ponendo limiti alle concentrazioni. Il Governo dovrà chiarire, però, le ricadute occupazionali del trasferimento sul digitale di una rete Rai e di una rete Mediaset.
L’esperienza di questi anni ci dice che la Subalpina deve dare ai colleghi delle risposte sui problemi della categoria. In un momento in cui c’è sempre più bisogno di informazione, dobbiamo chiederci: come cambierà la nostra professione? I giornali sopravvivranno nel lungo periodo se sapranno sfruttare le nuove tecnologie, i nuovi media. Si possono fare giornali e siti entrambi di qualità, cambiando il prodotto, ma senza immiserirlo.
Dagli studi emerge che i lettori gradiscono “giornali utili”. Il grande impatto dei quotidiani gratuiti e di internet devono far riflettere. Il settore dei giornali a pagamento deve capire se correre il rischio di diventare un pezzo da museo o se occorre sostenere sì il giornale cartaceo, ma arricchendolo con tutti gli altri media. Un male antico dei giornali italiani è la straripante attenzione per la politica, il gossip, la chiacchiera. Ma la vita di tutti i giorni? E’ meno importante delle feste di Telese? Delle risse tra la Falchi e la Ripa di Meana? Del futuro professionale della Gregoraci?
Il nodo del contratto riguarda centinaia di colleghi in Piemonte.
Inoltre i giornalisti degli uffici stampa devono essere riconosciuti come professionisti quali sono. Nelle radio-tv private sono troppi i colleghi mal pagati, non contrattualizzati correttamente.
Riguardo La Stampa il Cdr sta valutando il nuovo giornale che dovrebbe presentarsi nelle edicole nella terza decade di novembre.
Intervento di Cesare Damiano
ministro del Lavoro
Il tema della trasformazione dell’informazione, sia nel campo dell’editoria sia nel campo del sistema radio-televisivo, non potrà che avere ricadute sulla professione dei giornalisti.
Sull’annoso problema del rinnovo del vostro contratto, la cui situazione è molto delicata per tutto il tempo già intercorso, ritengo che ci sia un problema specifico, di rinnovo del contratto stesso, ed è evidente che il rinnovo di questo contratto si inserisce dentro una serie di problematiche che hanno a che vedere con il futuro dell’informazione e dell’editoria di conseguenza.
Sarebbe opportuno da parte mia, quindi, associare su questo tema altri ministri, come Gentiloni ad esempio, perché il problema contrattuale va inserito all’interno dell’evoluzione del sistema dell’informazione che potrebbe fornire elementi utili anche per il rinnovo del contratto.
Rispetto alla questione dell’informazione, è sconsolante il quadro tracciato da Tropea sullo stato dell’informazione rispetto alla realtà, non posso che rimarcare questo elemento se penso ai temi della sopravvivenza quotidiana.
Non posso dimenticare che la tematica dei problemi della precarietà nel giornalismo è una tematica tenuta molto ai margini, dimenticata. Questo deve far riflettere. Da molto tempo a questa parte siamo passati al silenzio su questo problema, ma è un tema che va affrontato. Il ministro Gentiloni ed io su questi temi dovremmo fare una scommessa: la Rai dovrebbe avere un canale dedicato al lavoro.
Ho fatto numerosi tentativi, per il rinnovo del contratto, con numerosi incontri con le delegazioni di Fieg e Fnsi. Ho provato a isolare la strada del problema contributivo, ma anche questa strada oggi non appare percorribile dal punto di vista degli editori. Ho proposto l’apertura di due tavoli di confronto tecnico. Credo che, dato il tempo trascorso, dato il carattere della professione, è necessario chiudere questo contratto quanto prima, la situazione è matura, e ho anche avvertito da parte della vostra delegazione una disponibilità negoziale senza pregiudiziali.
Proprio perché ci troviamo di fronte a temi così rilevanti, aprire una discussione a tutto campo sarebbe la cosa migliore e lavorerò per andare in questa direzione, anche se chiaramente non può esserci sostituzione del Governo alla disponibilità delle parti, entrambe, ad un dialogo.
Sull’Inpgi l’argomento deve essere affrontato, l’accordo sembra possibile, anche se gli editori vogliono partire dai meccanismi di funzionamento della stessa Inpgi, cosa a cui secondo me non andrebbe subordinato il resto della discussione.
Abbiamo collegato alla manovra economica il “cuneo fiscale”, incentivo per il lavoro stabile, a tempo indeterminato, abbiamo aumentato gli standard di tutela sociale, abbiamo messo in Finanziaria provvedimenti per la stabilizzazione del lavoro. C’è una forte volontà di revisione della legislazione sul lavoro, per convincere tutti che la situazione è in profonda trasformazione. E mi auguro che tutti questi elementi possano far arrivare ad un risultato; certo gli editori devono recedere dalla loro posizione di chiusura.
Intervento di Mario Berardi
presidente dell’Ordine dei giornalisti del Piemonte
Non c’è dubbio che il discorso della Gentiloni sulla pubblicità non è un discorso di parte. Se non inseriamo la questione di un diverso rapporto pubblicitario non creiamo le condizioni per uno sviluppo delle imprese ed è di conseguenza difficile difendere la pluralità delle testate di carta stampata, nelle quali lavorano diecimila giornalisti, mentre nelle radio-tv sono duemila.
La vicenda dell’Inpgi va risolta perché riguarda il futuro dell’ente e le condizioni di vita dei colleghi pensionati.
Mi dispiace per i colleghi che continuano a non scioperare non capendo che siamo tutti sulla stessa barca.
Questo discorso della riforma è indispensabile, perché noi siamo il sistema nervoso del Paese e un sistema nervoso malato significa schizofrenia.
Intervento di Giovanni De Luna
docente di Storia contemporanea all’Università di Torino
Un altro versante del vostro malessere si riferisce a due grandi ferite culturali: la dimensione straripante che l’oralità ha acquisito nel mondo dell’informazione, la dimensione dello scritto è terribilmente in crisi, scuola e scrittura era un binomio indissolubile che si è spezzato, nelle gerarchie dei percorsi di apprendimento la dimensione audio-visiva ha ora il dominio; l’altro aspetto è la perdita del senso di territorio, internet rappresenta la società massificata, voi avete l’esigenza di impadronirvi della simultaneità, del cambiamento della percezione di spazio e tempo che in questi anni c’è stata.
Sono perplesso per l’inconsapevolezza degli aspetti strategici che stanno cambiando, ma quanti tavoli ha aperto questo ministro Damiano? Prima ascoltavo terrorizzato, ma a cosa serve quando non c’è consapevolezza degli stravolgimenti di tutto quello che c’è attorno.
Però l’azione della carta, badate bene, è ancora fondamentale: le immagini di Abu Grahib finché dalla rete non sono state messe sui giornali non hanno provocato lo scandalo. Quindi il ruolo dei giornali è ancora fondamentale.
Tavola rotonda
Dove vanno i giornali: declino o rilancio?
Moderatore: Stefano Tallia
vicesegretario Associazione Stampa Subalpina
Luigi Vanetti
direttore generale de La Stampa Editrice
Quello che stiamo facendo alla Stampa è investire 70 milioni di euro nel rinnovamento tecnologico dei nostri impianti. La Fiat crede nell’importanza dell’investimento perché è convinta che, nonostante la diversificazione dei media, il quotidiano resta fondamentale pur trovando una nuova collocazione in questo universo sempre più variegato. Internet per noi è la principale diversificazione, un modo più per parlare con i nostri lettori che per dare informazioni ai nostri lettori. Un eventuale salto dei quotidiani di importanza regionale e nazionale verso la free press è ancora da escludere, il nostro ricavato è al 50 per cento la pubblicità e al 50 per cento le vendite e gli abbonamenti.
Dal punto di vista editoriale stiamo facendo un grande sforzo, nel nord-ovest avremo novantasei pagine a colori in tutto il nord ovest, un prodotto più ricco di quello a cui siamo abituati. Dobbiamo aumentare la nostra capacità di dare servizi ai lettori, ponendoci al centro delle nostre comunità.
Lorenzo Del Boca
presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti
Dove finiscono i giornali? E’ un dibattito planetario. La tesi ottimista sostiene che i giornali avranno sempre meno pagine, altro che 96 a colori, che saranno su carta riciclata, perché la foresta dell’Amazzonia non c’è la fa più. Quella pessimista sostiene che scompariranno.
Noi raccontiamo le nostre cose con una timidezza e un pudore relegando noi stessi ad una marginalità che la dice lunga, possibile che a questo Mediaforum i giornali della città abbiano dedicato sei righe sei?
L’esempio più significativo di sforzo di comunicazione in Italia viene da Biscardi, che aggancia sul mezzo televisivo generi di per sé diversi. Al di là di questo esempio, che noi consideriamo trash, abbiamo un problema di quantità che vince sulla qualità: La Stampa un tempo era chiamata “la bugiarda” e non sbagliava un indirizzo, oggi non è più chiamata così, ma gli indirizzi non li mette più. Oggi si racconta molto il clima e poco le cose concrete, si accompagnano i giornali con chili di enciclopedie rendendo i giornali carte da imballaggio, le prospettive non paiono incoraggianti se le cose restano così.
Franco Siddi
presidente Fnsi
Il problema è che continuiamo a parlare ognuno al suo cortile, non si è ancora creata la condizione per decidere insieme il nostro futuro. Ci siamo un po’ arresi ai poteri interni delle redazioni e delle aziende che decidono prima cosa si deve fare. I numeri dei giornali escono a secondo di insaccare quantità di messaggi pubblicitari, senza sviluppare insieme gli elementi di crescita di democrazia dell’informazione. Il contratto è un paradigma della democrazia del lavoro in senso lato, per noi della democrazia dell’informazione, elemento non condiviso dagli editori che attaccano il costo del lavoro e non accettano il confronto.
Un contratto di lavoro è necessario, creando il futuro mettendo insieme tutte le componenti che devono agire per lo sviluppo del nostro mondo. Nessun nuovo media ha mai soppiantato del tutto quello precedente, quindi dobbiamo fare tutto il possibile per uno sviluppo serio ed equilibrato, dove sia presente la figura centrale del giornalista. Si vuole scaricare sul contratto il costo del lavoro che “sarebbe aumentato”, ma non è vero se non in alcune situazioni particolari. Il contratto nazionale è la base, i contratti aziendali devono essere la regola.
Il contratto per il sindacato è il cuore, una necessità, una necessità per il Paese come hanno ricordato anche le più alte cariche istituzionali della Repubblica.
Dobbiamo offrire ai lettori un giornale che sia utile e difensore civico a livello locale, e deve aver l’autorevolezza di far capire la complessità del mondo a livello nazionale.
Ragionare di queste cose significa essere contro gli editori? Io credo di no. Parlarsi e fare il contratto non ha mai fatto male a nessuno.
Il ministro Damiano oggi ci ha rassicurato, anche se su alcune cose restiamo perplessi: la precarietà nel lavoro giornalistico continua a rimanere tale.
Non si può regolare tutto attraverso partite che sembrano regolamenti di conti.
Luigi Vanetti
direttore generale de La Stampa Editrice
Noi non ci sottrarremo ad una discussione concreta che ci ha sempre caratterizzati. Per quanto concerne sulle innovazioni al giornale abbiamo fatto delle ricerche molto serie e impegnative sulle opinioni dei lettori: maggiore info-grafica, notizie più brevi, formato più comodo, la richiesta di un formato che privilegi di più la visualizzazione.
Abbiamo una missione impossibile da portare avanti, perché nelle ricerche c’è di tutto in realtà: vogliamo più approfondimento, prendo la free press perché non ho tempo, il bisogno di un’informazione meno locale e più regionale e viceversa. Dal mio punto di vista è molto difficile, ma la nostra difesa è la presenza sul territorio, pur non avendo una percezione chiara sulle notizie da mettere dentro il giornale. Sarà sempre più difficile fare bene un giornale che vada bene a tutti.
In giro per il mondo ci sono poche nazioni che hanno così tanti quotidiani nazionali e così tanti giocatori sul panorama della carta stampata.
L’informazione locale per noi resta una priorità.
Piera Egidi-Bouchard
vicepresidente Associazione Stampa Subalpina
Probabilmente bisogna sviluppare sia la dimensione locale, nella quale un giornale è difensore civico radicato sul territorio, sia quella di approfondimento nazionale e internazionale.
L’importanza della parola scritta non è ancora sparita, il nostro malessere è lo stare al centro di opposte tensioni.
Franco Siddi
presidente Fnsi
Sul contratto restano in piedi tutte le iniziative decise di mobilitazione della categoria. Le stiamo mettendo in campo tutte, siamo arrivati a fare anche un piccolo blocco stradale a Bologna. Dobbiamo inventare qualche altra cosa, chiunque abbia idee si faccia anzi avanti.
Scioperare per noi non è un divertimento, un mezzo non un fine. Se su questo punto noi non ci saremo sarà il disastro.
Lorenzo Del Boca
presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti
Abbiamo un problema contingente, quello del contratto nazionale. Ringrazio il ministro per le parole di solidarietà, anche se forse dovremmo auspicare che il prossimo ministro del Lavoro venga dal sindacato, perché possa capire meglio le nostre istanze.
Abbiamo un problema di prospettiva, su cosa è l’informazione e su cosa ne dobbiamo fare. De Luna ha detto significativamente che Abu Grahib ha avuto l’autorevolezza necessaria quando è stato incartato, pur essendo da mesi in rete.
Il nostro vero ruolo è cambiato sotto le nostre mani, quando saremo capaci di riprendercelo?