E' il gennaio dell'86 quando
Repubblica, festeggiando
il proprio decennale, pubblica
una serie di fascicoli allegati
al quotidiano, uno per ogni
anno. Sulla copertina di quello
del 1977, dopo
il '76 dedicato
a "L'alba di Craxi", campeggiano
una
enorme rivoltella,
disegnata
da Tullio
Pericoli, e il titolo
"I giorni
delle P38". E a
scorrere la
cronaca di quei dodici mesi, si
capisce quanto la scelta fosse
obbligata.
Quello che anche Walter Veltroni
ricorda come (l'anno più
duro della nostra generazione)
si chiude infatti con un bilancio
di 2.188 attentati terroristici,
contro i 1.198 dell'anno prima,
con 32 persone gambizzate (tra
cui Indro Montanelli e il direttore
del Tg1 Emilio Rossi) e una
dozzina di morti: avvocati come
il presidente dell'ordine del Piemonte
Fulvio Croce, giornalisti
come il vicedirettore della Stampa
Carlo Casalegno, tanti giovani
militanti di sinistra (da Francesco
Lorusso a Giorgiana Masi,
da Walter Rossi a Benedetto
Petrone) fino al povero Roberto
Crescenzio, studente lavoratore
torinese che non aveva mai
fatto politica, una fine orribile
nel rogo di un bar assaltato perché
ritenuto un covo di fascisti.
E poi agenti di polizia, da Antonino
Custrà a Settimio Passamonti,
da Giuseppe Ciotta alla
guardia giurata Remo Pietroni.
Ma la prima vittima è il brigadiere
della polizia stradale Dino
Ghedini: è la sera del 19 febbraio
quando, nell'hinterland
milanese, ferma per un controllo
una Simca guidata da Enzo
Fontana, allora 25enne e già
con un passato nei Gap di Giangiacomo
Feltrinelli, ora invece
brillante studioso di Dante e
trentino d'adozione (è tra gli editorialisti
dell'Adige). Sta per
perquisire l'auto, Ghedini,
quando il giovane estrae una pistola
uccidendolo sul colpo e ferendo
gravemente l'appuntato
Adriano Comizzoli, Arrestato,
Fontana si dichiara prigioniero
politico: sul sedile posteriore
trasportava documenti delle
Brigate rosse. Sarà condannato
a 26 anni.
Di quell'anno tremendo si occupa,
meritoriamente, il giornalista
del Trentino Concetto Vecchio
nel suo "Ali di piombo"
(281 pagine, 9,40 euro), che
uscirà domani nella collana
"Futuro Passato" della Biblioteca
Universale Rizzoli. Catanese,
35 anni, Vecchio è al suo secondo
libro, dopo quel "Vietato
obbedire" dedicato due anni fa
alle vicende e ai protagonisti di
Sociologia e vincitore dei premi
Capalbio e Pannunzio. Ma non
aspettatevi uno dei soliti libri
sul terrorismo: d'altra parte gli
scaffali ormai sono stracarichi
di memoriali e interviste di leader
e manovali della lotta armata,
l'ennesima autoanalisi difficilmente
aggiungerebbe qualcosa
di rivelatore per capire quella
parabola di sangue.
Vecchio ne è consapevole, e
sceglie invece la chiave che gli
è più familiare: quella della cronaca.
E il suo "Ali di piombo" è
così un racconto formidabile e
documentatissimo, serrato nei
passaggi più tesi (l'uccisione di
Lorusso negli scontri di piazza
a Bologna, quella di Giorgiana
Masi a Roma, la clamorosa contestazione
del leader della Cgil
Luciano Lama alla Sapienza),
ma anche dolente di fronte, e accade
spesso, all'insensatezza
che pervade quel maledetto
1977. Ed è un libro che, restando
saggiamente lontano da sociologismi
e politichese (e non
era facile, dovendo spiegare ad
esempio che cosa fosse Autonomia
operaia), scava tanto a fondo
da recuperare figure dimenticate
o di secondo piano, a tutti
i livelli: da Carlo Rivolta, giovane
cronista di Repubblica che
come pochi raccontò il movimento,
morto stroncato dalla
droga (un altro lato drammatico
di quell'anno), ad Antonio
Cocozzello, oscuro consigliere
comunale della Dc, impegnato
nel sociale e nei quartieri della
Torino proletaria, bersaglio di
un terrorismo cieco e ostinato.
Il metodo di Vecchio è trasparente:
lasciar parlare i fatti. E
quello che non è recuperabile
dalle cronache di allora, le emozioni
"di pelle" ma anche il senno
di poi, "estrarlo" da decine
di testimonianze. E così, a rafforzare
una solida ragnatela
cronologica di eventi, concorrono
i racconti di Gad Lerner, del
direttore di Repubblica Ezio
Mauro (allora giovane cronista
alla Gazzetta del Popolo di Torino),
Diego Novelli, Giampaolo
Pansa, Gianfranco Bettin, Arrigo
Levi, Marco Boato, Enrico
Deaglio e tanti altri, 37 in tutto,
senza dimenticare il contributo
fondamentale del procuratore
generale di Torino Giancarlo
Caselli, allora in prima linea
contro le Br, nel ricostruire gli
esiti giudiziari di tanti fatti di
sangue. E che il metodo sia
quello autentico del cronista, lo
dimostrano i "sopralluoghi"
compiuti dall'autore in alcuni
dei luoghi più tragici di quell'anno:
l'abitazione di Casalegno
a Torino, ferito a morte nell'androne
di casa, e soprattutto
il centro storico di Bologna, teatro
di guerriglia a marzo ma anche
cornice di quel convegno
sulla repressione che, in settembre,
sarà il canto del cigno dell'ala
"creativa" del movimento.
Un po' come l'anno prima quello
a Rimini di Lotta continua,
un "rompete le righe" che porterà
molti a ingrossare le fila
del partito armato.
Perché non c'è solo piombo,
nelle ali del 1977. A Bologna ci
sono Andrea Pazienza e Radio
Alice, e "Bifo" Berardi ne rievoca
peripezie e imprese (tutta da
leggere, per chi ancora non la
conoscesse, l'irruzione della polizia
raccontata in diretta).
E
c'è un'Italia che cambia, con il
femminismo e i "Porci con le
ali" di Lidia Ravera e Marco
Lombardo Radice, con la prima
Estate Romana di Renato Nicolini
(pure tra i testimoni), ma
anche con le università dei "baroni"
e di migliaia di giovani, soprattutto
del Sud, che ne escono
inevitabilmente disoccupati.
E c'è anche, è vero, un'Italia
che in tv passa dal bianco e nero
al colore, che si appassiona a
Fonzie e Furia cavallo del West,
o al duello Torino-Juventus per
lo scudetto.
E' un'Italia che Vecchio pure
racconta, ma di passata, quel
che serve per contestualizzare
una realtà comunque fatta di altro:
perché è anche l'anno dell'affare
Lockheed in Parlamento,
della fuga del criminale nazista
Herbert Kappler dall'ospedale
militare del Celio, delle polemiche
per il "Mistero buffo"
in tv di Dario Fo.
E soprattutto
del ministro degli interni Kossiga,
disegnato da Forattini armato
e vestito da autonomo dopo
la morte di Giorgiana Masi. E
di bollettini come quello del 1
luglio, citato non a caso anche
da Guido Crainz nel suo "Il Paese
mancato": una guardia giurata
uccisa da tre fascisti durante
una rapina, due dirigenti della
Fiat gambizzati, l'esplosione di
tre vagoni ferroviari carichi di
elettrodomestici Zanussi, un attentato
sventato per caso alla
Liquichimica di Augusta dove
vengono ritrovati quattro chili
di gelignite, altri attentati a Bologna
alle sedi dei vigili urbani
e dell'Associazione industriali,
bottiglie molotov a Roma, bombe
delle Br contro il carcere di
Spoleto, sparatorie dei Nap contro
una caserma dei carabinieri
a Catania e sabotaggi vari. Tutto
lo stesso giorno.
Scrive Vecchio, alla fine nei
ringraziamenti (dove rende anche
merito all'efficienza del sistema
bibliotecario
trentino),
di aver desiderato
per
anni scrivere
la storia di
Carlo Casalegno
e del suo
rapporto con
il figlio Andrea,
militante
di Lotta
continua. E d'altra parte proprio
quel delitto, e la sua "rielaborazione"
da parte della sinistra
extraparlamentare, fu una
sorta di spartiacque, grazie alla
celebre intervista di Lerner e
Marcenaro allo stesso Andrea
Casalegno, in cui i due cronisti
scrivevano che {ridurre il nemico
a simbolo significa stravolgere
la realtà credendo di semplificarla}.
E ammette, Vecchio, d'aver
pensato a lungo che senza
un racconto dell'intero contesto
(il terrorismo, la Torino fordista,
le inquietudini dei ragazzi
del '77, i tanti morti del movimento)
la vicenda non avrebbe
retto un intero libro.
Ha ragione: l'"Ali di piombo"
che ne è uscito è infatti molto di
più di un ritratto di famiglia.
Ma quella morte, quell'agonia
di 13 giorni in ospedale a cui alla
fine, il 29 novembre del '77, il
fisico dell'ex partigiano Casalegno
non resse, è comunque il filo
rosso dell'intero libro. Ed è
un bene che sia così: proprio
perché rappresenta, in anticipo
di pochi mesi sul delitto di Guido
Rossa (l'operaio e sindacalista
genovese ucciso nel gennaio
del '79 perché "delatore"), l'inizio
del tramonto delle Br. Non
di quello militare, certo, il sequestro
Moro deve ancora arrivare,
ma di quella "contiguità"
ideologica nel movimento, per
non dire aperta simpatia, che
era il terreno su cui fiorivano le
azioni terroristiche.
Un solo appunto, al libro di
Concetto Vecchio. Non cita l'editoriale
che Eugenio Scalfari
dedicò il 15 settembre a Felix
Guattari, l'intellettuale francese
allora impropriamente accomunato
ai "nouveaux philosophes"
e tra i promotori del convegno
sulla repressione di quei
giorni a Bologna, che in una
lunga intervista a Repubblica
aveva spiegato di non preoccuparsi
dei detenuti di destra.
{C'è dunque chi nasce cattivo e
chi buono? - scriveva Scalfari -
Chi è stato baciato dalla grazia
una volta per tutte e chi si porta
addosso il peccato originale?
Guattari non sarà un nuovo filosofo,
ma sotto a questa tesi c'è
una gran puzza di sacrestia}. E
via così, per colonne e colonne:
memorabile. Ma è un dettaglio,
che non offusca i due grandi meriti
di "Ali di piombo": l'arrivare
per primo nella "corsa" editoriale
già apertasi per il trentennale
del '77 (sono infatti annunciate opere analoghe di
Lucia Annunziata e di Stefano
Cappellini del Riformista). Ma
soprattutto, il raccontare con la
sobria passione del cronista un
anno decisivo della storia recente
d'Italia. E incredibile visto
con gli occhi di oggi.
Paolo Morando
[tratto dal "Trentino" di giovedì 11 gennaio 2007]