Sono condivisione, valore dei contenuti, interattività e convergenza digitale, le parole chiave più discusse nel corso del seminario che si è tenuto il 9 marzo scorso a Torino dedicato all'impatto della tecnologia sull'universo professionale del giornalismo.
Al seminario hanno partecipato editori, giornalisti, pubblicitari ed esperti di nuove tecnologie, che hanno discusso in due diversi incontri di giornalismo online, Tv e radio digitale.
Si è parlato di business editoriale, dove la condivisione della conoscenza diventa una modalità di lavoro essenziale per affermare un'impresa, quale un giornale è, grazie all'interazione con il contesto locale, che si apre all'esterno via internet. Una dimensione "glocale" (globale/locale) che non perde di vista la realtà dei propri lettori ma le offre nuovi e più ampi scenari.
Internet diventa dunque veicolo di informazioni che non avrebbero spazi sui canali tradizionali, ma anche strumento per la definizione di una nuova visione professionale dove il giornalista seleziona la notizia, la raccoglie, la pubblica, magari con il solo uso del proprio cellulare, che fotografa, registra, permette di editare il contenuto digitale – video, audio o testuale – e anche di inviarlo in wi-fi alla redazione per la pubblicazione.
Le visioni che si scontrano in questo senso sono due. Da una parte quella di un giornalista quasi autarchico supportato dalla tecnologia in tutti i passaggi, si pensi al satellitare e alle tecnologie ubiquoitous e mobile nell'operatività dei free lance delle zone di guerra, spesso unica alternativa informativa ai canali "ufficiali"; dall'altra quella più tradizionale ma già contaminata dall'innovazione, che non esclude importanti passaggi redazionali, e non riduce le figure professionali, ma fa della tecnologia uno strumento per crearne di nuove e diverse, permettendo al contesto di evolvere nella direzione di una maggior efficacia, rapidità e oggettività, grazie agli strumenti tecnologici a disposizione.
Ma è condivisione anche la nuova visione dei pubblicitari, che dall'investimento tradizionale sono passati all'advertising online e agli eventi come leva di marketing perché il pubblico, abituato a interagire, creare, toccare vede nell'interazione un canale essenziale, che si tratti di cliccare su un banner in internet o partecipare a una serata sponsorizzata. Centrale in questo contesto è il valore del contenuto e dunque del giornalista che è insostituibile nel creare il contenuto e renderlo di qualità.
Il problema non sta infatti nel veicolo tecnologico delle informazioni, che si tratti di radio, tv, video, dati, musica, ma nella loro qualità e quantità, che sono gli elementi necessari a rendere una tecnologia indispensabile, popolare, diffusa e dunque utile.
La tecnologia diventa un veicolo di propagazione e diffusione neutro, che grazie alla dimensione globale assunta dalla reti permette di ampliare l'orizzonte, i mercati, ma anche il significato delle parole e dei ruoli sociali.
Sono questi i temi da cui è partita la discussione sulle nuove forme di tutela della proprietà intellettuale, dalla marcatura dei contenuti digitali per tutelarne l'originalità all'ampliamento del concetto di diritto d'autore con le licenze Creative Commons.
Ci sono dai 400 ai 600 milioni di persone che creano contenuti nel mondo. Il 32 per cento degli utenti internet americani si definisce artista, anche se non nell'accezione classica, perché si tratta probabilmente di 30 milioni di dilettanti che, in una dimensione globale di informazione creata dal basso – lo user generated content -, assumono una rilevanza ben diversa dal concetto tradizionale di dilettantismo. Wikipedia, l'enciclopedia libera creata dagli utenti, è un progetto globale in cui professionisti e dilettanti si fondono creando un prodotto di qualità grazie alle dinamiche proprie dell'intelligenza collettiva. E ancora una volta la parola chiave è condivisione e circolazione dell'informazione, ma con delle regole.
Le licenze Creative Commons significano questo: non chiusura e tutela riduttiva del diritto d'autore, una modalità che limita fortemente i canali di diffusione, ma apertura e condivisione regolamentata. Un libro, un brano musicale, un'opera di qualsiasi genere, viene condivisa ma con restrizioni che limitano a seconda delle licenze, il diritto di modificare, sfruttare a fini commerciali, diffondere e condividere.
Non si tratta di un'alternativa alle forme di tutela tradizionali, ma di una loro estensione. L'autore ha il diritto di restringere l'accesso alla sua opera, ma anche di ampliarlo, accrescendo la sua popolarità. Una scelta operata da gruppi noti come i Pearl Jam, ma anche da importanti enti di ricerca come l'Mit di Boston o da testate giornalistiche tradizionali come "La Stampa" di Torino.
Maria Costanza Candi
----------------------------------------------
Parte oggi in otto regioni italiane la campagna informativa lanciata da Aidro (Associazione Italiana per i Diritti di Riproduzione delle Opere dell'ingegno) "Legalizziamo le copie di fatto": una provocazione che coinvolgerà mille enti formativi di otto diverse Regioni del centro e nord Italia - Lombardia, Emilia Romagna, Marche, Veneto, Piemonte, Toscana, Umbria e Lazio - per la stipula di una convenzione che consenta agli Enti di fotocopiare legalmente a scopo professionale parti di libro e di riviste per realizzare dispense e altri materiali didattici esaustivi e aggiornati. Si tratta - spiegano i promotori - di un atto a cui hanno già provveduto alcune tra le più prestigiose business school italiane - come Ambrosetti, Consorzio Alma (Ex Profingest), Eni Corporate University, Saa di Torino (Scuola di Amministrazione Aziendale), Sda Bocconi.
La campagna partirà oggi per entrare nel vivo nei prossimi giorni e proseguire per tutto l'anno con depliant e affissioni, e altre forme di marketing diretto.
Aidro è l'associazione italiana che gestisce i diritti di riproduzione per le fotocopie ad uso professionale, per conto dei 150 principali editori italiani associati e di molti altri esteri i cui repertori sono acquisiti in base a convenzioni internazionali. Obiettivo della campagna è contribuire a recuperare il gap che ancora esiste tra la raccolta di diritti nel nostro Paese e quella del resto d'Europa.
Nel 2005 in Italia l'insieme della raccolta Siae (che gestisce i diritti per le copie "per uso personale") e Aidro (che concede licenze per gli usi professionali, tra i quali appunto quelli connessi alle esigenze degli enti di formazione) è stata di poco meno di 1,5 milioni di euro. Se si fosse realizzata una raccolta pari alla media pro capite europea, spiegano dall'Associazione italiana degli editori, i proventi dalle fotocopie sarebbero stati di 40 milioni circa.
Apcom