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15/04/2007

Il ritorno di Enzo Biagi in Rai

A 86 anni il decano dei giornalisti italiani sulla terza rete con Rotocalco televisivo

Lo studio è lo stesso semicerchio bianco de 'Il fatto', 'Il caso', 'Linea diretta', montato stavolta, un po' per comodità e un po' per riguardo agli 86 anni di Enzo Biagi, in uno studiolo di casa sua, in faccia alla Chiesa di Santa Maria dei Miracoli dove ancora oggi le spose milanesi portano per buon auspicio il loro bouquet. Anche la squadra, una dozzina di persone, in testa Loris Mazzetti autore con Biagi direttore, è la stessa che con lui ha girato mezzo mondo, "insieme a Sarajevo nel '98 e a Belgrado sotto le bombe nel '99", ricorda, "poi in Kosovo e a Ground zero nel novembre 2001, prima troupe al mondo ammessa a girare sul luogo chiuso dal giorno successivo al disastro". Titolo e formula, 'Rt/Rotocalco televisivo', riprendono invece esattamente quella che fu, nel 1962, la prima trasmissione di Biagi: quando il democristianissimo Ettore Bernabei lo chiamò a dirigere il telegiornale "nonostante sapesse che io votavo socialista", lui che veniva dalla direzione di 'Epoca' e che era cresciuto sulle immagini dei cinegiornali Luce s'inventò il rotocalco tv. Per la cronaca, siamo tre anni prima di 'Tv7'.

Dunque una specie di gentile amarcord, il ritorno in tv del Grande Vecchio, domenica 22 aprile alle 21.30 su RaiTre? Proprio il contrario. Uno che con quei suoi modi pacati e taglienti dà battaglia da tutta la vita non perde certo il vizio solo perché ha passato l'ottantina. Anzi. "In questi cinque anni di confino", dall'editto bulgaro dell'allora premier Silvio Berlusconi seguito a ruota dalla cancellazione de 'Il fatto' nonostante i premi e gli indici di ascolto, "noi con la testa siamo sempre stati in onda", confessa quasi con candore: "Se ci chiamano, ci dicevamo, dobbiamo essere pronti a scendere in campo con le idee giuste e i muscoli allenati". Ecco, ora succede: dopo lo speciale di domenica, 'Rt/Rotocalco televisivo' andrà in onda da lunedì 23 per otto settimane, produzione RaiTre di Paolo Ruffini e Tg3-Primo piano di Antonio Di Bella, in seconda serata alle 23.15. Il secondo giro comincerà all'inizio di ottobre.

Cosa ci racconterà 'Rt'? Intanto "quei moltissimi italiani per i quali il mese ha una settimana di troppo, perché il giorno 20 non hanno più i soldi neppure per mangiare": non solo i poveri vestiti da poveri, quelli che basta buttare l'occhio e t'accorgi che vita fanno, ma anche "l'impiegato ex o presunto ceto medio che con due figli e gli alimenti da pagare è costretto a passare la notte al dormitorio pubblico", anticipa. Cova l'ambizione di "rendere protagonisti, nel nostro spazio, quelli che di solito vengono considerate comparse": di raccontare le loro storie, magari di capitare una sera a cena a casa di uno di loro e dargli voce. La politica? "Sì, certo, ma non i politici": con tutto il rispetto ("Fu Giancarlo Pajetta a farmi andare in Cina ventott'anni fa") parlano anche troppo. Del resto "dove sono più i politici come Ferruccio Parri, che una volta mi raccontò di viaggiare nottetempo perché non si poteva pagare gli alberghi? Aveva ragione Corrado Alvaro, dei politici voglio sapere non solo cos'hanno in testa, ma anche quanto hanno in tasca".

Attori e artisti e personaggi dello spettacolo, loro sì ci saranno. Ma non in veste di intervistati. Racconteranno ciascuno una loro storia. Così Paolo Rossi sarà un signor Rossi qualsiasi alle prese con la vita e le beghe quotidiane nel condominio Italia, Fabio Fazio dovrebbe narrare i luoghi del commissario Maigret di cui va pazzo, Andrea Camilleri scorderà Montalbano per disquisire del suo amato gatto, e Vauro il vignettista mostrerà finalmente i segni tangibili e ingombranti della sua vera mania: collezionista di memorabilia e divise dell'Armata Rossa, le ha piazzate in bella mostra a casa sua su 200 manichini.

E il bianco semicerchio delle interviste? Vi si siedono di fronte, nello Speciale di domenica 23 che ha per tema la Resistenza ma anche chi oggi resiste e contro che cosa, Gherardo Colombo dopo il suo addio alla magistratura e lo scrittore di 'Gomorra' Roberto Saviano. Presa diretta e riflessione sull'oggi, dunque. Alla memoria, semmai, è riservato uno spazio ad hoc con la riproposizione, quando la cronaca lo suggerisce, di uno stralcio di qualche storica conversazione di Enzo Biagi: si comincia con sette splendidi minuti di Primo Levi, anno 1977.

Tutto questo bendiddio il lunedì in seconda serata alle 23,15. Parrebbe un orario infame, visto che competerà con 'Porta a Porta' di Bruno Vespa su RaiUno e 'Matrix' di Enrico Mentana su Canale 5. Invece è l'ultima cosa che preoccupa Biagi: "Non mi sono mai posto il problema del confronto sugli ascolti. E se portiamo a casa anche solo il 2 o 3 per cento di quegli italiani che la tv non la guardano più, abbiamo fatto bingo". Nemici che hanno messo i bastoni fra le ruote? "Pochi, ma che contano"; del resto, rincara Loris Mazzetti, "su RaiUno di Del Noce noi non saremmo mai voluti andare in onda". Biagi sorride e si associa ma, ricostruendo così anche i retroscena del suo ritorno in Rai, preferisce elencare quelli che l'hanno reso possibile: a parte il buon Dio che gli dà la salute, Paolo Gentiloni che fece la prima mossa quand'era presidente della commissione di Vigilanza, il consigliere d'amministrazione Rai Nino Rizzo Nervo e il presidente Claudio Petruccioli che poi presero contatto con lui, il direttore generale Claudio Cappon che il 10 dicembre scorso lo scritturò con una telefonata in diretta tv da Fabio Fazio dove Biagi era ospite. Firmò il contratto un paio di giorni appresso.

Il che tacita anche le ventilate polemiche sui costi della trasmissione e il compenso del direttore medesimo: "Non ho discusso, ho ringraziato e accettato l'offerta: una buona ricompensa, nella media del mercato, in linea con le tariffe di RaiTre". Break pubblicitari e inviti agli ascolti sono già stati tutti venduti, aggiunge Mazzetti, "il programma si paga ampiamente da sé. Con 'Il fatto' su RaiUno, che vorrei ricordare incassava tre volte quanto costava, abbiamo sempre restituito 3-400 milioni di lire l'anno del nostro budget".

C'è di che cantar vittoria: tornare in tv a 86 anni dopo esserne stato cacciato in malo modo perché dava fastidio. Ma Biagi è uomo che le vittorie se le sa godere senza sciocche fanfare: "Lo sento piuttosto come un risarcimento: io sono di famiglia operaia, non sopporto chi ti toglie il lavoro, se non lavori non mangi dice San Paolo. Beh, non era il mio caso, certo...". Si concede: "Non è che la tv mi sia poi mancata così tanto in questi cinque anni di esilio", ma l'occhio lo contraddice, e anche ciò che dice prima e dopo. Aggiunge che la televisione la guarda pochino, giusto il tg e qualche partita, ma evidentemente la vede abbastanza per stilettare quei conduttori "che hanno la pretesa di fare non i testimoni ma gli apostoli" (inutile chiedergli i nomi) e il malcostume "che oggi trasforma in una star chiunque faccia tre comparsate in tv". D'altra parte l'Italia "è il paese dei miracoli, dove gente sull'orlo del fallimento te la ritrovi stramiliardaria". Parlerà mica di Berlusconi, per caso? "Credo debba molto di più lui alla politica di quanto la politica non debba a lui".

Inutile, non si smentisce. Lo vedi beato e sorridente in poltrona, le mani incrociate davanti, un nonno tranquillo mentre racconta Bob Kennedy e la vera Lara del dottor Zivago a una piccola tribù di nipoti "che pare l'Onu per via di matrimoni e adozioni". Poi gli fai una qualsiasi domanda e lui, col sorriso sulle labbra, ti sforbicia impietosamente mezzo mondo. Scordatevi l'amarcord, Biagi torna per mordere.

Roberto Di Caro
(da "L'espresso" n.15 anno LIII del 19 aprile 2007)
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